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La Quaresima: segni, gesti e parole di un tempo di conversione
Giacomo Gambassi – da www.avvenire.it martedì 5 marzo 2019
Che cos'è la Quaresima? Come si conteggia? Quali le letture? Perché fare digiuno ed elemosina? Alla scoperta del tempo forte che inizia con il Mercoledì delle Ceneri e che prepara alla Pasqua
Il 6 marzo, Mercoledì delle Ceneri, inizia la Quaresima. È il «tempo forte» che prepara alla Pasqua, culmine dell’Anno liturgico e della vita di ogni cristiano. La Quaresima si conclude il Giovedì Santo con la Messa in Coena Domini (in cui si fa memoria dell’istituzione dell’Eucaristia e in cui si svolge il rito della lavanda dei piedi) che apre il Triduo Pasquale. Quest’anno la Pasqua viene celebrata il 21 aprile. Come dice san Paolo, la Quaresima è «il momento favorevole» per compiere «un cammino di vera conversione» così da «affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male», si legge nell’orazione colletta all’inizio della Messa del Mercoledì delle Ceneri. Questo itinerario di quaranta giorni che conduce al Triduo pasquale, memoria della passione, morte e risurrezione del Signore, cuore del mistero di Salvezza, è «un entrare nel deserto del creato per farlo tornare ad essere quel giardino della comunione con Dio che era prima del peccato delle origini», ricorda papa Francesco nel Messaggio per la Quaresima 2019.

Il numero 40

Nella liturgia si parla di “Quadragesima”, cioè di un tempo di quaranta giorni. La Quaresima richiama alla mente i quaranta giorni di digiuno vissuti dal Signore nel deserto prima di intraprendere la sua missione pubblica. Si legge nel Vangelo di Matteo: «Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame».
Quaranta è il numero simbolico con cui l’Antico e il Nuovo testamento rappresentano i momenti salienti dell’esperienza della fede del popolo di Dio. È una cifra che esprime il tempo dell’attesa, della purificazione, del ritorno al Signore, della consapevolezza che Dio è fedele alle sue promesse. Nell’Antico Testamento sono quaranta i giorni del diluvio universale, quaranta i giorni passati da Mosè sul monte Sinai, quaranta gli anni in cui il popolo di Israele peregrina nel deserto prima di giungere alla Terra Promessa, quaranta i giorni di cammino del profeta Elia per giungere al monte Oreb, quaranta i giorni che Dio concede a Ninive per convertirsi dopo la predicazione di Giona.
Nei Vangeli sono anche quaranta i giorni durante i quali Gesù risorto istruisce i suoi, prima di ascendere al cielo e inviare lo Spirito Santo. Tornando alla Quaresima, essa è un «accompagnare Gesù che sale a Gerusalemme, luogo del compimento del suo mistero di passione, morte e risurrezione e ricorda che la vita cristiana è una “via” da percorrere, consistente non tanto in una legge da osservare, ma nella persona stessa di Cristo, da incontrare, da accogliere, da seguire», ha spiegato Benedetto XVI nel 2011.

Le ceneri

Il Mercoledì delle Ceneri è giorno di digiuno e astinenza dalle carni (così come lo è il Venerdì Santo, mentre nei Venerdì di Quaresima si è invitati all’astensione dalle carni). Come ricorda uno dei prefazi di Quaresima, «con il digiuno quaresimale» è possibile vincere «le nostre passioni» ed elevare «lo spirito». Durante la celebrazione del Mercoledì delle Ceneri il sacerdote sparge un pizzico di cenere benedetta sul capo o sulla fronte. Secondo la consuetudine, la cenere viene ricavata bruciando i rami d’ulivo benedetti nella Domenica delle Palme dell’anno precedente. La cenere imposta sul capo è un segno che ricorda la nostra condizione di creature ed esorta alla penitenza.
Nel ricevere le ceneri l’invito alla conversione è espresso con una duplice formula: «Convertitevi e credete al Vangelo» oppure «Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai». Il primo richiamo è alla conversione che significa cambiare direzione nel cammino della vita e andare controcorrente (dove la “corrente” è lo stile di vita superficiale, incoerente ed illusorio). La seconda formala rimanda agli inizi della storia umana, quando il Signore disse ad Adamo dopo la colpa delle origini: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai!» (Gen 3,19). La Parola di Dio evoca la fragilità, anzi la morte, che ne è la forma estrema. Ma se l’uomo è polvere, è una polvere preziosa agli occhi del Signore perché Dio ha creato l’uomo destinandolo all’immortalità.

Il rito ambrosiano

A differenza del rito romano, in quello ambrosiano non c’è il rito del Mercoledì delle Ceneri dal momento che la Quaresima inizia domenica 10 marzo quando vengono imposte le ceneri durante le Messe festive della giornata. Una delle particolarità del rito ambrosiano, durante la Quaresima, è quella dei cosiddetti venerdì «aliturgici», parola tecnica che significa “senza liturgia eucaristica”. Chi entra, in un venerdì di Quaresima, in una chiesa di rito ambrosiano trova sull’altare maggiore una grande croce di legno, con il sudano bianco: simbolo suggestivo del Calvario e segno di abbandono. Si crea così un vero e proprio senso di vuoto, acuito dal fatto che per tutto il giorno non si celebra la Messa e non si distribuisce ai fedeli la comunione eucaristica.

I segni: digiuno, elemosina, preghiera

Il digiuno, l’elemosina e la preghiera sono i segni, o meglio le pratiche, della Quaresima. Il digiuno significa l’astinenza dal cibo, ma comprende altre forme di privazione per una vita più sobria. Esso «costituisce un’importante occasione di crescita», ha spiegato papa Francesco, perché «ci permette di sperimentare ciò che provano quanti mancano anche dello stretto necessario» e «ci fa più attenti a Dio e al prossimo» ridestando «la volontà di obbedire a Dio che, solo, sazia la nostra fame».
Il digiuno è legato poi all’elemosina. San Leone Magno insegnava in uno dei suoi discorsi sulla Quaresima: «Quanto ciascun cristiano è tenuto a fare in ogni tempo, deve ora praticarlo con maggiore sollecitudine e devozione, perché si adempia la norma apostolica del digiuno quaresimale consistente nell’astinenza non solo dai cibi, ma anche e soprattutto dai peccati. A questi doverosi e santi digiuni, poi, nessuna opera si può associare più utilmente dell’elemosina, la quale sotto il nome unico di “misericordia” abbraccia molte opere buone ». Così il digiuno è reso santo dalle virtù che l’accompagnano, soprattutto dalla carità, da ogni gesto di generosità che dona ai poveri e ai bisognosi il frutto di una privazione. Non è un caso che nelle diocesi e nelle parrocchie vengano promosse le Quaresime di fraternità e carità per essere accanto agli ultimi. Secondo papa Francesco, «l’esercizio dell’elemosina ci libera dall’avidità e ci aiuta a scoprire che l’altro è mio fratello».
La Quaresima, inoltre, è un tempo privilegiato per la preghiera. Sant’Agostino dice che il digiuno e l’elemosina sono «le due ali della preghiera» che le permettono di prendere più facilmente il suo slancio e di giungere sino a Dio. E san Giovanni Crisostomo esorta: «Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà con la pratica della preghiera. Così prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in splendida reggia». Per papa Francesco, «dedicando più tempo alla preghiera, permettiamo al nostro cuore di scoprire le menzogne segrete con le quali inganniamo noi stessi».

Il conteggio dei giorni

Già nel IV secolo vi è una Quaresima di 40 giorni computati a ritroso a partire dal Venerdì Santo fino alla prima domenica di Quaresima. Persa l’unità dell’originario triduo pasquale (nel VI secolo), la Quaresima risultò di 42 giorni, comprendendo il Venerdì e il Sabato Santo. Gregorio Magno trovò scorretto considerare come penitenziali anche le sei domeniche (compresa quella delle Palme). Pertanto per ottenere i 40 giorni (che senza le domeniche sarebbero diventati 36) anticipò, per il rito romano, l’inizio della Quaresima al mercoledì (che diventerà “delle Ceneri”). Attualmente la Quaresima termina con la Messa nella Cena del Signore del Giovedì Santo. Ma per ottenere il numero 40, escludendo le domeniche, bisogna, come al tempo di Gregorio Magno, conteggiare anche il Triduo pasquale.

La liturgia

Come nell’Avvento, anche in Quaresima la liturgia propone alcuni segni che nella loro semplicità aiutano a comprendere meglio il significato di questo tempo. Come già accaduto nelle settimane che precedono il Natale, in Quaresima i paramenti liturgici del sacerdote mutano e diventano viola, colore che sollecita a un sincero cammino di conversione. Durante le celebrazioni, inoltre, non troviamo più i fiori ad ornare l’altare, non recitiamo il “Gloria” e non cantiamo l’“Alleluia”. Tuttavia la quarta domenica di Quaresima, quella chiamata del “Laetare”, vuole esprimere la gioia per la vicinanza della Pasqua: perciò nelle celebrazioni è permesso di utilizzare gli strumenti musicali, ornare l’altare con i fiori, le vesti liturgiche sono di colore rosa.

In questo Anno liturgico (ciclo C) la prima domenica di Quaresima rimanda ai quaranta giorni di Cristo nel deserto durante i quali il Signore viene tentato da Satana (Luca 4,1-13). In questa Domenica la Chiesa celebra l’elezione di coloro che sono ammessi ai Sacramenti pasquali. La seconda domenica di Quaresima è detta di Abramo e della Trasfigurazione perché come Abramo, padre dei credenti, siamo invitati a partire e il Vangelo narra la trasfigurazione di Cristo, il Figlio amato (Luca 9,28b-36). La terza domenica di Quaresima riporta la parabola dell’albero di fichi che il vignaiolo intende tagliare ma viene esortato a «lascialo ancora quest’anno» per vedere «se porterà frutti per l’avvenire» (Luca 13,1-9). La Chiesa in questa domenica celebra il primo scrutinio dei catecumeni e durante la settimana consegna loro il Simbolo: la Professione della fede, il Credo. La quarta domenica di Quaresima presenta la celebre parabola del Figliol prodigo, detta anche del Padre misericordioso (Luca 15,1-3.11-32). Nella quinta domenica di Quaresima si narra l’episodio della lapidazione dell’adultera con la frase di Cristo: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (Giovanni 8,1-11). Infine c’è la Domenica delle Palme in cui si fa memoria dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme e durante la quale viene letta Quaresima e Battesimo

Da sempre la Chiesa associa la Veglia pasquale alla celebrazione del Battesimo: in esso si realizza quel grande mistero per cui l’uomo, morto al peccato, è reso partecipe della vita nuova in Cristo Risorto e riceve lo Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù dai morti. Fin dai primi secoli di vita della Chiesa la Quaresima era il tempo in cui coloro che avevano udito e accolto l’annuncio di Cristo iniziavano, passo dopo passo, il loro cammino di fede per giungere a ricevere il Battesimo a Pasqua. Successivamente anche i penitenti e poi tutti i fedeli furono invitati a vivere questo itinerario di rinnovamento spirituale, per conformare sempre più la propria esistenza a Cristo. Nelle domeniche di Quaresima si è invitati a vivere un itinerario battesimale, quasi a ripercorrere il cammino dei catecumeni, di coloro che si preparano a ricevere il Battesimo, in modo che l’esistenza di ciascuno recuperi gli impegni di questo Sacramento che è alla base della vita cristiana.
Ha per tema un versetto della Lettera di san Paolo a Romani “L’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio” il Messaggio di papa Francesco per la Quaresima 2019. A fare da filo conduttore il creato. «Se l’uomo vive da figlio di Dio – scrive il Pontefice –, se vive da persona redenta, che si lascia guidare dallo Spirito Santo e sa riconoscere e mettere in pratica la legge di Dio, cominciando da quella inscritta nel suo cuore e nella natura, egli fa del bene anche al creato, cooperando alla sua redenzione». Invece, quando non viviamo da figli di Dio, «mettiamo spesso in atto comportamenti distruttivi verso il prossimo e le altre creature». Così «l’intemperanza prende allora il sopravvento, conducendo a uno stile di vita che vìola i limiti che la nostra condizione umana e la natura ci chiedono di rispettare».
Dal momento che la causa di ogni male è il peccato, allora «rompendosi la comunione con Dio, si è venuto ad incrinare anche l’armonioso rapporto degli esseri umani con l’ambiente in cui sono chiamati a vivere», sottolinea il Papa. Si tratta di «quel peccato che porta l’uomo a ritenersi dio del creato, a sentirsene il padrone assoluto e a usarlo non per il fine voluto dal Creatore, ma per il proprio interesse, a scapito delle creature e degli altri». Pertanto, aggiunge Bergoglio, «il creato ha la necessità impellente che si rivelino i figli di Dio». E «con la loro manifestazione anche il creato stesso può “fare pasqua”». Secondo il Pontefice, la Quaresima è occasione «per portare la speranza di Cristo anche alla creazione». Da qui l’invito: «Abbandoniamo l’egoismo, lo sguardo fisso su noi stessi, e rivolgiamoci alla Pasqua di Gesù».
Gli impegni del Papa
Francesco presiederà la Messa del Mercoledì delle Ceneri il 6 marzo alle 17 nella Basilica di Santa Sabina a Roma, prima stazione quaresimale dove è presente una forte salita, simbolo degli sforzi necessari alla conversione del cuore. La processione penitenziale partirà alle 16.30 dalla chiesa di Sant’Anselmo. Domenica 10 marzo inizieranno ad Ariccia gli Esercizi spirituali per la Curia Romana a cui parteciperà anche Francesco, che saranno predicati da dom Bernardo Gianni, il benedettino olivetano abate di San Miniato al Monte a Firenze. Il ritiro quaresimale si concluderà venerdì 15 marzo.
Lunedì 25 marzo il Pontefice sarà in visita nel Santuario mariano di Loreto mentre martedì 26 sarà in visita in Campidoglio a Roma. Venerdì 29 marzo alle 17 nella Basilica di San Pietro si terrà la celebrazione penitenziale presieduta da Francesco. Il 30 e il 31 marzo è in programma il viaggio apostolico in Marocco. Domenica 14 aprile il Papa presiederà la Messa della Domenica delle Palme e della Passione del Signore alle 10 in piazza San Pietro.
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Figli digitali «Ora spiegateci come educarli»
Viviana Daloiso – da www.avvenire.it martedì 5 marzo 2019
Una serata tra i genitori alle prese con web e social. «A 7 anni mi chiede Instagram, che cosa faccio?»
«A 7 anni mi chiede Instagram e io non so cosa fare... ». La mamma seduta nell’angolo, tutta rossa in viso, tira un sospiro e butta fuori la sua scomodissima verità. Che non sconvolge nessuno degli altri, o quasi. «Io la rincorro, lei è già avanti. So benissimo che in poco tempo ne saprà più di me e allora cosa farò?». Ore 19, martedì sera, aula al primo piano dell’Istituto Bertarelli-Ferraris di Corso di Porta Romana, a Milano. È qui che si celebra un nuovo rito dell’era digitale: il gruppo di mutuo-aiuto fra genitori. Sulla carta è stato pensato come un luogo di incontro e di dibattito sul modello dei barcamp, le “non conferenze” nate negli Stati Uniti come momenti di confronto aperti a tutti e i cui contenuti sono proposti dai partecipanti. A tema, i vari aspetti della tecnologia, in questo caso nella vita degli adolescenti e dei bambini.
Ma qui è chiaro subito a tutti che in gioco c’è altro: ascoltarsi, confessarsi, confortarsi. Trovare una strada comune per affrontare la sfida epocale che sono lo smartphone, il tablet, il videogioco, il social, la Rete. Cose terribilmente uguali, quando risucchiano la vita dei figli. E di questa ferita – della vita dei figli che i padri e le madri “rincorrono” – non c’è altro posto in cui parlare. Seduti a semicerchio davanti alla lavagna multimediale siamo una trentina di adulti. Un po’ guardinghi, all’inizio. A rompere il ghiaccio pensa papà Francesco. Che di cognome fa Cajani, ed è sostituto procuratore al Tribunale di Milano con specializzazione in reati informatici, ma che qui si presenta solo come papà “preoccupato” di due bimbi piccoli: «Siamo alla seconda serata di questo ciclo di incontri. Per chi fosse in difficoltà, vi ricordiamo che è previsto anche l’aperitivo... ». Qualche sorriso. Francesco racconta di come l’idea degli “Atelier digitali” (www.atelierdigitali.it) sia nata dai dibattiti infiniti con Massimiliano (Andreoletti, pedagogista dell’Università Cattolica) e Anna (Ragosta, esperta in processi formativi multimediali), marito e moglie, anche loro mamma e papà: «Ci trovavamo al bar. E non la smettevamo più di discutere, a volte anche di scontrarci – raccontano –. Un giorno ci siamo detti: perché non coinvolgere anche gli altri?».
La parola passa all’ospite della serata, la docente di psicologia dell’Università Cattolica Daniela Villani, chiamata a tratteggiare un breve cappello introduttivo sul tema dell’identità digitale. Ci si chiede, in sostanza, chi siano i nostri figli in Rete. Oltre a che cosa facciano. Slide di maniera, qualche spolverata di informazioni generali sui meccanismi di funzionamento dei social e sulla formazione dell’identità. Il primo colpo di scena arriva quando la quasi totalità dei presenti ammette di avere bambini che hanno iniziato da poco la scuola primaria: 7, massimo 8 anni.
Sembra inevitabile, visto che in Italia 8 bimbi su 10 tra i 3 e i 5 anni usano già il cellulare dei genitori (e spesso perché sono i genitori a metterglielo in mano). «Sicuramente non avete ancora il problema di un’iperconnessione però...» accenna Villani, cercando il conforto della piccola platea.
Che in parte annuisce, all’incontro è venuta «per capire quello che succederà, inevitabilmente, tra poco». In parte no: c’è chi “combatte” già con Fortnite e Minecraft (i videogiochi del momento), chi chiede «quanto tempo devo lasciarlo davanti al pc», chi non capisce esattamente «perché a scuola accetta regole sul tablet di classe e a casa invece le rifiuta». Sul tablet in questione, nella scuola in questione, vengono anche caricati i compiti dei bimbi e ai compiti i piccoli possono mettere dei primi, innocenti like. «Impossibile» esclama un papà.
Un momento dell’incontro tra genitori milanesi per il ciclo “Atelier digitali”. Nel corso delle serate si affrontano i nodi del rapporto tra adolescenti e social
Eppure i like, si conclude in fretta, sono la cifra dell’uso che anche i genitori fanno dei social e della Rete, «prima o poi quella logica dovranno affrontarla anche loro...». E allora? Allora si ricomincia. «Serve domandarsi – provoca la psicologa – proprio questo: che uso fate voi, dei social e più in generale della tecnologia? Che uso vedono, i vostri figli, del telefonino in casa?». Di tecnologia si è già finito di parlare e il tema scottante – vecchio e prezioso come il cucù – diventa l’educazione. «Forse occorre lasciare da parte lo strumento e tornare a parlare dei contenuti».
Quelli che i genitori (chi, se non loro) dovrebbero continuare a mettere nella vita dei figli. Qualcuno fa l’esempio della passione per la montagna, qualcuno della condivisione di momenti all’aperto, delle vacanze, degli hobby. «Non possiamo rassegnarci a quella cosa lì» esclama un’altra mamma indicando lo schermo che ritrae un adolescente al telefono. «Già, e allora cosa c’è?» incalza Villani. «Il compito dei genitori» sussurra qualcuno. Quello di uscire dalla logica maledetta dei selfie e dei like in cui tutto è performance, in cui tutti sorridono e stanno bene (il più delle volte facendo finta) «per tornare al “processo” – chiosa Villani –. A quel che si fa davvero, a quel che si è davvero». Grandi e piccoli. Ma, forse, soprattutto i grandi. Se possa bastare, come ricetta, è tutto da decifrare. I genitori però sorridono, e ancora parlano fuori dall’aula, si confrontano, hanno voglia di raccontare. Al prossimo appuntamento, tra un mese, a parlare di educazione probabilmente saranno il doppio.
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Meno 250mila posti letto per l'Italia che invecchia

Fulvio Fulvi www.avvenire.it martedì 5 marzo 2019

Aumentano gli over 65, sono quasi tre milioni le persone non autosufficienti. Famiglie spesso lasciate sole.

Italiani sempre più vecchi. E un sistema di assistenza che traballa e non è più in grado di rispondere alle esigenze degli over 65. Anche perché, con l’aumento dell’età media, crescono pure i non autosufficienti i quali, secondo un rapporto del Centro Ricerche dell’Università Bocconi di Milano, risultano 2.847.814. Solo la metà di questi, però, usufruisce di servizi socio-sanitari mentre il resto è assistito da un esercito silenzioso: circa 8 milioni di caregiver familiari (di cui 1 su 5 è a sua volta ultrasessantenne) che si organizzano con soluzioni “fai-da-te”, spesso affiancati da quasi un milione di badanti (la media è di 14,2 ogni 100 cittadini sopra i 75 anni).

Nella maggior parte dei casi, dunque, sono figli, nipoti o fratelli minori a farsi carico in casa dell’assistenza e della cura dei loro cari che, in là con gli anni, mostrano limitazioni funzionali o patologie che ne condizionano la vita quotidiana. Dall’indagine della Bocconi esce un’Italia in forte affanno nel rispondere ai bisogni di una popolazione che invecchia con rapidità. L’altro dato (di fonte Ipsos) è la mancanza di circa 250mila posti letto nelle strutture di accoglienza.

«L’aumento degli anziani è un problema urgente per le politiche pubbliche europee e italiane – commenta Giovanni Fosti, docente della Bocconi, tra i curatori del rapporto – e di fronte ai bisogni sempre più ampi e complessi espressi dalle famiglie per i loro anziani, il welfare pubblico non riesce a offrire riposte complete ». Le famiglie rischiano di essere abbandonate a se stesse. Cosa fare? «Siamo alle soglie di una rivoluzione tecnologica e digitale che porterà enormi cambiamenti – dice Fosti –, è importante dunque guardare oltre: Internet delle cose, app con dispositivi mobili anche personalizzati che facilitano la mobilità dell’anziano e la prevenzione delle malattie, acquisti online, un monitoraggio a distanza dei parametri vitali, video- sorveglianza dell’ambito domestico, la stampa in “3D” e l’intelligenza artificiale, la robotica applicata all’assistenza agli anziani, come accade da anni in Giappone».

Nuovi valori, risposte che abbattono i costi e agevolano gli operatori favorendo il self management di famiglie e volontariato, possibilmente in sinergia. Soluzioni che però appartengono a un futuro prossimo. Un potenziale inespresso e comunque insufficiente, perché c’è da risolvere anche il problema della solitudine. E resta il nodo della spesa pubblica da destinare ai servizi socio-sanitari, inadeguata e male organizzata. «La situazione delle politiche sanitarie per gli anziani in Italia è grave» commenta Roberto Bernabei, direttore del dipartimento geriatria dell’Università Cattolica di Roma. «Bisogna chiedersi perché il fenomeno delle badanti è presente in modo così massiccio e diffuso solo in Italia – dice Bernabei – e perché da noi l’assistenza domiciliare riguarda solo l’1% dei casi mentre negli altri Paesi europei la media è del 20%, così come le Residenze socioassistenziali interessano il 2,5% degli anziani mentre nel resto del continente nessuna nazione è sotto il 7%».

Per non parlare del divario tra Nord e Sud. «C’è differenza nelle prestazione erogate da Regione a Regione: da una parte ci sono Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, dall’altra realtà come il Lazio dove i posti letto disponibili nelle Rsa coprono solo un terzo del fabbisogno» dice Bernabei. E le prospettive non sono incoraggianti visto che «il contratto del “governo del cambiamento” dedica solo una parola al problema degli anziani». «In Italia i posti disponibili per gli anziani nei vari presìdi sono 278.652 (22,5 ogni 1.000) – commenta Roberto Messina, presidente di Senior Italia FederAnziani – e per rientrare nella media Ocse secondo l’Istat servirebbe un incremento di un numero di posti letto compreso tra 111mila e 500mila». Le attese inoltre sono interminabili: «Ci vogliono almeno 200 giorni per trovare un posto in una struttura». In un Paese che invecchia rapidamente le “case famiglia” e le “comunità” rappresenteranno la soluzione assistenziale più diffusa. «Non serve insistere sul “sistema Case di riposo” che oggi mostra i suoi limiti – sostiene Marco Trabucchi, direttore scientifico del gruppo di ricerca geriatrica di Brescia – perché non è più come 20 anni fa, oggi ci sono sempre più vecchi malati e soli e quindi più costosi per la collettività e chi gestisce la cosa pubblica si spaventa di fronte alle nuove spese da sostenere. Pensiamoci. Ci vuole una vera rivoluzione del sistema o andremo a sbattere contro un muro ». Cambiare mentalità, coinvolgere le famiglie, come accade nell’espernza diffusa dei “Caffè Alzheimer”. Secondo Trabucchi «Il cohousing (alloggi con spazi comuni condivisi, ndr) però da solo non basta, ci vogliono supporti organizzati: l’anziano dovrebbe premere un bottone per avere a casa il medico, l’infermiere, l’idraulico... e riempire il resto della giornata incontrando persone».

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Dalle fosse comuni irachene e siriane spunta il genocidio del popolo yazida
Sara Lucaroni www.avvenire.it sabato 2 marzo 2019
Con la fine del Califfato tornano a casa i prigionieri, i bimbi indottrinati come kamikaze e le donne violentate. Le sepolture rivelano teste mozzate e corpi torturati
Vestiti di stracci. Gli occhi sgranati. Li hanno fatti sedere a terra a semicerchio per fotografarli bene, gli undici bambini yazidi messi in salvo dall’Fds, le Forze democratiche siriane. Non sono più curdi, tanto meno parlano la loro lingua dopo l’addestramento dei campi speciali del programma «Cuccioli del Califfato», per diventare soldati e kamikaze. Solo uno di loro ricorda la famiglia: padre ucciso e madre rapita a Sinjar nel 2014, l’attacco che ha massacrato, rapito, schiavizzato e fucilato o decapitato in tutto 10.400 uomini donne e bambini della minoranza religiosa invisa al Califfato.
Poi è stata la volta di una famiglia di quattro persone; due ragazze con numeri di telefono scritti sulle braccia; sei donne con i loro figli, fuggiti con decine di migliaia di civili durante i combattimenti per smantellare l’ultima sacca del Daesh nella Siria nord-orientale: meno di 500 miliziani che resistono e conoscono il destino di 3.000 donne e bambini che ancora mancano all’appello. Ma 23 è meno di 50. La cifra delle teste mozzate di donne dentro bidoni abbandonati in un tunnel ritrovate dai corpi speciali dell’esercito britannico durante le ultime fasi della battaglia a Baghuz, è netta e feroce.
«Il Daesh sta usando gli yazidi rapiti come scudi umani – ha commentato la Premio Nobel per la Pace 2018 Nadia Murad. Ho chiesto ripetutamente alla comunità internazionale di salvarli dalla prigionia». Un altro attivista yazida, Ali Hussein al-Khansuri, ha pubblicato la chat Whatsapp di un miliziano a cui chiedeva informazioni sulla sorte delle donne rapite diventate schiave sessuali e gli sarebbero stati spiegati i contorni di quest’ultimo massacro: ordinato dallo stesso Abu Bakr al-Baghdadi nel dicembre scorso, sarebbe la risposta ai bombardamenti degli ultimi quartier generali di Daesh da parte della Coalizione internazionale.
«Facciamo appello alle forze della Coalizione, agli Stati Uniti e chiunque stia combattendo il Daesh per scoprire il destino delle vittime e riportare indietro i prigionieri», hanno detto con una nota i leader delle organizzazioni tribali yazide in Iraq. Il loro non è l’unico appello di queste ore: molte Ong e anche l’Ufficio per le Minoranze religiose a Baghdad ha chiesto al governo iracheno chiarimenti ufficiali in merito a questo ritrovamento invitandolo a fare di più. «Ci sono piani e operazioni di ricerca in pieno svolgimento», fanno sapere dal Krg, il governo regionale del Kurdistan iracheno, dove si sei è rifugiata e vive ormai da 5 anni nei campi profughi la maggioranza degli sfollati di Ninive e Sinjar.
Non si conosce il numero di quanti possano essere ancora nella zona delle battaglie, tra Baghouz e Deir ez-Zor, sull’Eufrate, al confine con L’Iraq. Ma è un’area che si restringe di giorno in giorno. Notoriamente Daesh porta con sé i prigionieri mentre si sposta e molti potrebbero essere adesso intrappolati nell’assedio. Oppure trovarsi nei campi tra i siriani sfollati e le famiglie dei jihadisti in fuga: si stima siano tra 11.000 e 20.000 le persone fuggite dall’inizio del dicembre scorso dagli ultimi villaggi occupati. Gli yazidi combattono per la sopravvivenza della loro identità. Nelle scorse settimane un braccio di ferro per trasformare in museo la scuola di Kojo, teatro del peggiore massacro ai danni della minoranza e dove è stata rinchiusa la stessa Nadia Murad. Comunità, Onu, Unesco e Baghdad si sono viste sfidare dal Dipartimento per l’Educazione di Ninive che aveva quasi già avviato i lavori per riaprire le aule. In queste ore intanto è stata scoperta una nuova fossa comune con decine di cadaveri di yadizi, uomini e donne: il comandante delle Forze democratiche siriane Adnan Afrin ha detto che la maggior parte è stata decapitata.
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Malattie rare, la corsa ad ostacoli delle famiglie
Redazione interni www.avvenire.it giovedì 28 febbraio 2019
In Italia si contano circa 770mila pazienti. La spesa sociale per i malati rari si attesta intorno al 100milioni di euro l'anno ma le famiglie sono spesso in situazioni di difficoltà economica
Ad oggi, circa il 6-8% della popolazione europea è colpito da una malattia rara. In Italia, le persone che soffrono di malattie rare sono più di 770.000, tra queste l’80% è di origine genetica e si trasmette generalmente per via ereditaria. Per non abbassare la guardia e sostenere i malati e le loro famiglie che ogni anno, il 28 febbraio in tutto il mondo si celebra la Giornata delle malattie rare.
In base ai dati diffusi dal Registro nazionale malattie rare dell'Istituto Superiore di Sanità, in Italia si stimano 20 casi di malattie rare ogni 10.000 abitanti e ogni anno sono circa 19mila i nuovi casi segnalati dalle oltre 200 strutture sanitarie diffuse in tutta la Penisola. Il 20% delle patologie riguarda pazienti in età pediatrica (di età inferiore ai 14 anni), tra i quali le malattie rare che si manifestano con maggiore frequenza sono le malformazioni congenite (45%) e le malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione, del metabolismo e disturbi immunitari (20%). Mentre nei pazienti in età adulta, le frequenze più alte appartengono al gruppo delle malattie del sistema nervoso e degli organi di senso (29%) e delle malattie del sangue e degli organi ematopoietici (18 %).
La spesa sociale per i malati rari si attesta intorno al 100 milioni di euro l'anno (dati Ceis Tor Vergata), ma le famiglie che convivono con malattie rare sono spesso in situazioni di difficoltà economica, dovuta al mancato riconoscimento del ruolo dei caregiver (quasi sempre i genitori) e agli ancora insufficienti ammortizzatori sociali previsti.

Il convegno alla Camera per la Giornata mondiale

"Abbiamo pazienti che non hanno nemmeno un farmaco specifico per curare la loro patologia" ha detto Paola Binetti, senatrice Udc, alla Camera per un convegno sulle malattie rare, di cui oggi si celebra la giornata mondiale. L'obiettivo, sostiene la senatrice, "è che i malati rari possano avere un livello costante di attenzione, sia nella loro relazione coi clinici che con le associazioni che costruiscono la rete". In platea, aggiunge, "ci sono malati non inseriti nei Lea, anche se le loro patologie avevano completato l'iter per il riconoscimento. Altri ancora avrebbero bisogno di misure di qualità, come la riabilitazione. Ci sono pazienti che avrebbero bisogno di un caregiver dedicato, qualcuno accanto a loro h24 per integrare l'assistenza familiare. Ma non è possibile, per questo le risorse non ci sono mai", lamenta Binetti che sottolinea la "sperequazione assoluta tra quello che lo Stato è disposto a spendere per un farmaco, anche innovativo, e altri tipi trattamento di politiche sociale che non vengono riconosciuti. Quindi togliamo ai pazienti l'uno e l'altro. Bisogna ristabilire un nuovo livello di giustizia e solidarietà", conclude la senatrice.

I video dell'Istituto Maugeri

Nella giornata dedicata alle malattie rare, sette pazienti dell'Istituto Irccs Maugeri di Pavia raccontano con i loro familiari la loro vicenda e lanciano un messaggio rassicurante a quanti scoprono di esserne affetti. Qui sotto, la storia di Giulia (da www.icsmaugeri.it)

Fondazione Telethon in prima linea

Dalla sua nascita, Fondazione Telethon ha investito quasi 500 milioni di euro, ha finanziato oltre 2.620 progetti con più di 1.600 ricercatori coinvolti, più di 10.700 le pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali e oltre 570 malattie studiate, con l’obiettivo di trovare delle cure a malattie che per la loro rarità, purtroppo, sono sconosciute, spesso difficili da diagnosticare e tendono ad essere trascurate dai finanziamenti pubblici e privati.“Va sottolineato che, se sono stati realizzati avanzamenti così importanti verso la cura, questo è anche grazie a iniziative come la Giornata Mondiale delle Malattie Rare, perché l’attività di sensibilizzazione così promossa ha contribuito ad alimentare un fermento di ricerca e assistenza che solo vent’anni fa era impensabile – osserva Francesca Pasinelli, Direttore Generale di Fondazione Telethon. – Il tema di quest’anno tocca nel profondo anche la nostra organizzazione: di fronte a terapie innovative che stanno emergendo grazie alla ricerca è innegabile infatti che ci si debba porre l’interrogativo di come renderle accessibili a tutti ed economicamente sostenibili. Ma è altrettanto innegabile che questo tema vada affrontato insieme e in modo costruttivo da tutti gli attori in gioco, soprattutto a proposito di terapie che, per quanto costose e complesse, sono in grado di dare una prospettiva di vita fino a pochi anni fa impensabile” conclude Francesca Pasinelli.
Fondazione Telethon in quanto titolare dell’intera pipeline di ricerca fino alla completa registrazione dello studio di una terapia, garantisce l’assegnazione meritocratica dei fondi raccolti per il finanziamento dei progetti e l’accessibilità della cura trovata a tutti i pazienti. Oltre ai progetti di ricerca portati avanti nei propri istituti di Milano e Napoli, la Fondazione mette a disposizione dei ricercatori che lavorano in Italia fondi assegnati tramite bandi, secondo le migliori prassi internazionali. Quest’anno sono state ricevute 328 proposte per progetti mono e bi-centrici per un totale di 464 ricercatori coinvolti, a dimostrazione dell’interesse della comunità scientifica nel campo delle malattie genetiche rare. Alla fine di marzo si chiuderà inoltre anche un altro bando, quello clinico Telethon-Uildm, che assegnerà i finanziamenti a progetti dedicati alle distrofie muscolari e miopatie. In entrambi i casi, i fondi verranno poi assegnati attraverso un rigido processo di selezione affidato alla Commissione medico-scientifica della Fondazione, che si avvale del metodo della “peer view” e tiene conto innanzitutto della qualità scientifica dei progetti, ma anche della loro prossimità alla cura.
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Il Papa: digiuno, preghiera, elemosina. Per amare Dio e il Creato
Redazione Catholica  - da www.avvenire.it martedì 26 febbraio 2019
Il testo del Messaggio: no alla logica del tutto subito, dell'avere sempre di più che porta ad avidità, brama e disinteresse per gli altri.
Vivere da figli da Dio, da persone redente, per fare del bene anche al creato. No alla logica del tutto subito, dell’avere sempre di più, che abbandonando la legge di Dio, porta ad avidità, brama per uno smodato benessere, disinteresse per il bene degli altri e spesso anche per il proprio. Tanto da tradursi in sfruttamento del creato, persone e ambiente, secondo quella «cupidigia insaziabile che ritiene ogni desiderio un diritto e che prima o poi finirà per distruggere anche chi ne è dominato». È un invito a diventare persone nuove, sentendoci pienamente parte della creazione, il filo rosso del Messaggio del Papa per la Quaresima 2019. Va in questo senso il titolo stesso della riflessione, tratto dalla Lettera ai Romani: “L’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio”. Vanno vissuti in questo senso anche i richiami ai comportamenti tipici del tempo che prepara la Pasqua. «Digiunare, cioè imparare a cambiare il nostro atteggiamento verso gli altri e le creature: dalla tentazione di “divorare” tutto per saziare la nostra ingordigia, alla capacità di soffrire per amore, che può colmare il vuoto del nostro cuore. Pregare per saper rinunciare all’idolatria e all’autosufficienza del nostro io, e dichiararci bisognosi del Signore e della sua misericordia. Fare elemosina per uscire dalla stoltezza di vivere e accumulare tutto per noi stessi, nell’illusione di assicurarci un futuro che non ci appartiene. E così ritrovare la gioia del progetto che Dio ha messo nella creazione e nel nostro cuore, quello di amare Lui, i nostri fratelli e il mondo intero, e trovare in questo amore la vera felicità».
«L’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8,19)
Cari fratelli e sorelle,
ogni anno, mediante la Madre Chiesa, Dio «dona ai suoi fedeli di prepararsi con gioia, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua, perché […] attingano ai misteri della redenzione la pienezza della vita nuova in Cristo». In questo modo possiamo camminare, di Pasqua in Pasqua, verso il compimento di quella salvezza che già abbiamo ricevuto grazie al mistero pasquale di Cristo: «nella speranza infatti siamo stati salvati» (Rm 8,24).
Questo mistero di salvezza, già operante in noi durante la vita terrena, è un processo dinamico che include anche la storia e tutto il creato. San Paolo arriva a dire: «L’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8,19). In tale prospettiva vorrei offrire qualche spunto di riflessione, che accompagni il nostro cammino di conversione nella prossima Quaresima.
1. La redenzione del creato
La celebrazione del Triduo Pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo, culmine dell’anno liturgico, ci chiama ogni volta a vivere un itinerario di preparazione, consapevoli che il nostro diventare conformi a Cristo (cfr Rm 8,29) è un dono inestimabile della misericordia di Dio.
Se l’uomo vive da figlio di Dio, se vive da persona redenta, che si lascia guidare dallo Spirito Santo (cfr Rm 8,14) e sa riconoscere e mettere in pratica la legge di Dio, cominciando da quella inscritta nel suo cuore e nella natura, egli fa del bene anche al creato, cooperando alla sua redenzione. Per questo il creato – dice san Paolo – ha come un desiderio intensissimo che si manifestino i figli di Dio, che cioè quanti godono della grazia del mistero pasquale di Gesù ne vivano pienamente i frutti, destinati a raggiungere la loro compiuta maturazione nella redenzione dello stesso corpo umano. Quando la carità di Cristo trasfigura la vita dei santi – spirito, anima e corpo –, questi danno lode a Dio e, con la preghiera, la contemplazione, l’arte coinvolgono in questo anche le creature, come dimostra mirabilmente il “Cantico di frate sole” di San Francesco d’Assisi (cfr Enc. Laudato si’, 87). Ma in questo mondo l’armonia generata dalla redenzione è ancora e sempre minacciata dalla forza negativa del peccato e della morte.
2. La forza distruttiva del peccato
Infatti, quando non viviamo da figli di Dio, mettiamo spesso in atto comportamenti distruttivi verso il prossimo e le altre creature – ma anche verso noi stessi – ritenendo, più o meno consapevolmente, di poterne fare uso a nostro piacimento. L’intemperanza prende allora il sopravvento, conducendo a uno stile di vita che vìola i limiti che la nostra condizione umana e la natura ci chiedono di rispettare, seguendo quei desideri incontrollati che nel libro della Sapienza vengono attribuiti agli empi, ovvero a coloro che non hanno Dio come punto di riferimento delle loro azioni, né una speranza per il futuro (cfr 2,1-11). Se non siamo protesi continuamente verso la Pasqua, verso l’orizzonte della Risurrezione, è chiaro che la logica del tutto e subito, dell’avere sempre di più finisce per imporsi.
La causa di ogni male, lo sappiamo, è il peccato, che fin dal suo apparire in mezzo agli uomini ha interrotto la comunione con Dio, con gli altri e con il creato, al quale siamo legati anzitutto attraverso il nostro corpo. Rompendosi la comunione con Dio, si è venuto ad incrinare anche l’armonioso rapporto degli esseri umani con l’ambiente in cui sono chiamati a vivere, così che il giardino si è trasformato in un deserto (cfr Gen 3,17-18). Si tratta di quel peccato che porta l’uomo a ritenersi dio del creato, a sentirsene il padrone assoluto e a usarlo non per il fine voluto dal Creatore, ma per il proprio interesse, a scapito delle creature e degli altri.
Quando viene abbandonata la legge di Dio, la legge dell’amore, finisce per affermarsi la legge del più forte sul più debole. Il peccato che abita nel cuore dell’uomo (cfr Mc 7,20-23) – e si manifesta come avidità, brama per uno smodato benessere, disinteresse per il bene degli altri e spesso anche per il proprio – porta allo sfruttamento del creato, persone e ambiente, secondo quella cupidigia insaziabile che ritiene ogni desiderio un diritto e che prima o poi finirà per distruggere anche chi ne è dominato.
3. La forza risanatrice del pentimento e del perdono
Per questo, il creato ha la necessità impellente che si rivelino i figli di Dio, coloro che sono diventati “nuova creazione”: «Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove» (2 Cor 5,17). Infatti, con la loro manifestazione anche il creato stesso può “fare pasqua”: aprirsi ai cieli nuovi e alla terra nuova (cfr Ap 21,1). E il cammino verso la Pasqua ci chiama proprio a restaurare il nostro volto e il nostro cuore di cristiani, tramite il pentimento, la conversione e il perdono, per poter vivere tutta la ricchezza della grazia del mistero pasquale.
Questa “impazienza”, questa attesa del creato troverà compimento quando si manifesteranno i figli di Dio, cioè quando i cristiani e tutti gli uomini entreranno decisamente in questo “travaglio” che è la conversione. Tutta la creazione è chiamata, insieme a noi, a uscire «dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). La Quaresima è segno sacramentale di questa conversione. Essa chiama i cristiani a incarnare più intensamente e concretamente il mistero pasquale nella loro vita personale, familiare e sociale, in particolare attraverso il digiuno, la preghiera e l’elemosina.
Digiunare, cioè imparare a cambiare il nostro atteggiamento verso gli altri e le creature: dalla tentazione di “divorare” tutto per saziare la nostra ingordigia, alla capacità di soffrire per amore, che può colmare il vuoto del nostro cuore. Pregare per saper rinunciare all’idolatria e all’autosufficienza del nostro io, e dichiararci bisognosi del Signore e della sua misericordia. Fare elemosina per uscire dalla stoltezza di vivere e accumulare tutto per noi stessi, nell’illusione di assicurarci un futuro che non ci appartiene. E così ritrovare la gioia del progetto che Dio ha messo nella creazione e nel nostro cuore, quello di amare Lui, i nostri fratelli e il mondo intero, e trovare in questo amore la vera felicità.
Cari fratelli e sorelle, la “quaresima” del Figlio di Dio è stata un entrare nel deserto del creato per farlo tornare ad essere quel giardino della comunione con Dio che era prima del peccato delle origini (cfr Mc 1,12-13; Is 51,3). La nostra Quaresima sia un ripercorrere lo stesso cammino, per portare la speranza di Cristo anche alla creazione, che «sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). Non lasciamo trascorrere invano questo tempo favorevole! Chiediamo a Dio di aiutarci a mettere in atto un cammino di vera conversione. Abbandoniamo l’egoismo, lo sguardo fisso su noi stessi, e rivolgiamoci alla Pasqua di Gesù; facciamoci prossimi dei fratelli e delle sorelle in difficoltà, condividendo con loro i nostri beni spirituali e materiali. Così, accogliendo nel concreto della nostra vita la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, attireremo anche sul creato la sua forza trasformatrice.
Dal Vaticano, 4 ottobre 2018,
Festa di San Francesco d’Assisi
FRANCESCO
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I genitori in marcia per ricordare i loro piccoli morti per i veleni dell'aria
Marina Luzzi, 25 febbraio 2019 da www.avvenire.it
La città ricorda i suoi angeli: «Non dovevate morire». E poi: non siamo riusciti a proteggervi. La proposta: istituire una Giornata per le vittime di inquinamento
Ambra, 6 anni, leucemia. Fabiola, 5 anni, tumore al tronco encefalico. Siria, 4 anni, neuroblastoma. Alessandro, 16 anni, fibrosi cistica aggravata irrimediabilmente da inquinanti. Giorgio, 15 anni, sarcoma. E poi Miriam, Rebecca, Mario, Giuseppe, Davild. L’elenco dei bambini di Taranto morti per cause che si considerano legate all’inquinamento, purtroppo è lungo. Insostenibilmente lungo. (altro…)

La neurologa: «Irreversibile? Parola vietata»

Lucia Bellaspiga – www.avvenire.it domenica 4 febbraio 2018
Silvia Marino, ricercatrice del Centro neurolesi di Messina: «Dietro esistenze apparentemente "inutili" grandi storie di dignità»
Si celebra questa domenica in tutte le diocesi italiane la 40a Giornata nazionale per la vita. La Giornata è incentrata sul tema «Il Vangelo della vita, gioia per il mondo» e il Messaggio dei vescovi italiani sottolinea che «la gioia che il Vangelo della vita può testimoniare al mondo è dono di Dio e compito affidato all’uomo».
Il convegno è di quelli che schierano i massimi esperti a livello internazionale, e da mattina a sera il maxischermo manda dal palco le immagini di avveniristiche tecnologie capaci di scandagliare anche i cervelli apparentemente più inattivi, spenti da coma profondi, stati vegetativi, stati di minima coscienza, sindromi Locked-in o tuttora sconosciute e senza nome. Titolo, "Meeting internazionale sui disordini della coscienza - Ricerca, innovazione e nuovi approcci terapeutici", organizzato dalla Fondazione Irccs Istituto Neurologico Carlo Besta...
«È vero, il cervello resta un grande e affascinante mistero, ma la ricerca fa passi da gigante e le tecnologie permettono ogni giorno nuove applicazioni prima impensabili. Senza però perdere di vista le implicazioni etiche: questi "cervelli" sono persone, non cavie. Il mio obiettivo come scienziato è selezionare quelli che rispondono ai trattamenti, per offrire loro la migliore riabilitazione intensiva. Insomma, il fine ultimo è il bene del mio paziente, non l’esperimento riuscito». La neurologa Silvia Marino, ricercatrice del Centro neurolesi Bonino Pulejo Irccs di Messina, da anni scandaglia i residui più nascosti della coscienza nei suoi pazienti attraverso le tecniche di neuroimaging, ne studia le reazioni del cervello mentre lo stimola attraverso suoni, odori, fotografie, e oggi dichiara senza alcun dubbio: «La parola "irreversibile" applicata ai disturbi della coscienza, stato vegetativo compreso, non è più utilizzabile». Un’evidenza già emersa dagli interventi degli altri neuroscienziati presenti al convegno, che hanno dimostrato l’insondabilità di molte situazioni, i frequenti errori di diagnosi, il possibile passaggio da un presunto stato "vegetativo" a stati di coscienza transitoria o persistente...
Ci spiega in parole più semplici il suo lavoro?
Al paziente apparentemente privo di contatti con il mondo esterno, immobile da mesi o anni nel suo letto, somministriamo stimoli di ogni genere, soprattutto grazie alla fondamentale collaborazione dei familiari. Ad esempio gli facciamo ascoltare le voci della madre, del marito, dei figli, i suoni a lui cari, la musica preferita, la lettura di poesie. Mentre questo avviene, attraverso la risonanza magnetica funzionale possiamo vedere se si attivano le aree del suo cervello, o attraverso una speciale cuffia misuriamo l’attività elettrica cerebrale. In questo modo abbiamo studiato 27 pazienti con diagnosi di minima coscienza e 23 in stato vegetativo, e tra questi ultimi ben dieci si sono convertiti poi in stati di minima coscienza. L’interrogativo è forte: come può essere successo? Si sono evoluti o era sbagliata la diagnosi iniziale? Fatto sta che dopo sei mesi di metodica imaging qualcosa nel loro cervello faceva già presagire questa conversione.
Dunque può capitare che persone ritenute prive di coscienza abbiano invece una più o meno forte percezione del mondo intorno a loro?
Non è così per tutti, sia chiaro, ma in molti casi l’ascolto di una voce o la fotografia della persona amata accendono le aree del cervello legate alla percezione e all’emotività: nell’imaging le vediamo colorarsi, perché diventano attive. Segno che queste persone "ci sono" ancora.
Da qui a parlare di "risvegli" però ce ne passa.
La ricerca sul campo e le innovazioni tecnologiche stanno aprendo sicuramente scenari fino a pochissimi anni fa inimmaginabili, ma guai a dare false speranze. Diciamo che ormai non è più possibile parlare di irreversibilità, ci sono stati troppi casi di clinici e di ricercatori che, attraverso le diverse metodiche di stimolazione, hanno ottenuto nei loro pazienti risultati incredibili. Oggi in questo convegno abbiamo ascoltato ad esempio l’esperienza di Francesco Piccione, direttore di Neuroabilitazione al San Camillo di Venezia, che con la stimolazione magnetica del paziente ha ottenuto il recupero temporaneo del movimento dietro un ordine semplice (gli è stato chiesto di prendere il bicchiere d’acqua e portarlo alle labbra, cosa che ha fatto dopo anni di stato vegetativo). O l’esperienza di Angela Sirigu, direttore dell’Istituto di Scienze cognitive "Jeannedor" di Lione, che stimolando invece un singolo nervo ha avuto una ripresa dei livelli di coscienza. Insomma, i casi sono diversi e ognuno a se stante, ma visti tutti insieme raccontano di una ricerca italiana che sta offrendo scenari inediti quanto imprescindibili per comprendere che ci troviamo di fronte a vite pienamente umane.
C’è un caso che l’ha sorpresa?
Seguivo una signora che per una grave emorragia cerebrale era entrata prima in coma, poi era rimasta in stato vegetativo. Per capire se avesse ancora aree residue di percezione, l’ho stimolata col laser durante la risonanza magnetica funzionale, scoprendo così che le aree del dolore si attivavano. Significava che un trattamento su di lei avrebbe sortito i suoi effetti. Così a una donna che all’apparenza sembrava del tutto irrecuperabile ho intensificato stimolazioni di tutti i tipi: dopo otto mesi si è svegliata... era notte e ha iniziato a cantare una canzone di Baglioni che le piaceva. Oggi vive a casa sua con il marito e i figli, in sedia a rotelle ma felice. E racconta che durante lo "stato vegetativo" sentiva tutto ciò che le accadeva intorno, ma non riusciva a comunicarci di essere presente.
Se non vi foste accorti di quelle aree ricettive? Quante persone come lei in passato sono state definite "irreversibili" e mai trattate... Impossibile non ripensare a Eluana Englaro.
Non so cosa sarebbe potuto succedere, forse si sarebbe svegliata comunque, prima o poi, forse sarebbe rimasta così tutta la vita. Ma questa vicenda insegna che non si deve mai rinunciare, che bisogna sempre stimolare, combattere, riabilitare. Senza illudere i familiari, ma senza togliere la speranza quando c’è.
Qualcuno dice che queste vite costano troppo. Altri che sono vite meno degne... Vale la pena combattere tanto?
La vita va vissuta al meglio in qualunque condizione essa sia. Anche per chi non ha la fede è un dono, e questi casi ci danno la motivazione per cercare nuove tecnologie, senza mai rinunciare. Altrimenti non avremmo fatto il medico.
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IL CENTRO DI ACCOGLIENZA ALLA VITA VOGHERESE PARTECIPERA' ALLA S. MESSA DELLE ORE 10.30 PRESSO I  PADRI BARNABITI 
Soci, benefattori e simpatizzanti sono invitati
Il Messaggio 2018. Il Vangelo della vita, gioia per il mondo
Redazione Internet – da www.avvenire.it di venerdì 17 novembre 2017
Il testo del Messaggio della Conferenza episcopale italiana per la Giornata della Vita che si celebrerà il 4 febbraio 2018.
“L’amore dà sempre vita”, si apre con queste parole di papa Francesco il Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente per la 40ª Giornata Nazionale per la Vita, che si celebrerà il 4 febbraio 2018.
La Giornata è incentrata sul tema “Il Vangelo della vita, gioia per il mondo” e il Messaggio dei Vescovi italiani sottolinea che “la gioia che il Vangelo della vita può testimoniare al mondo, è dono di Dio e compito affidato all’uomo”.
Un dono “legato alla stessa rivelazione cristiana” e “oggetto di richiesta nella preghiera dei discepoli”. I Vescovi richiamano l’ammonimento del Santo Padre sui “segni di una cultura chiusa all’incontro” che “gridano nella ricerca esasperata di interessi personali o di parte, nelle aggressioni contro le donne, nell’indifferenza verso i poveri e i migranti, nelle violenze contro la vita dei bambini sin dal concepimento e degli anziani segnati da un’estrema fragilità”.
Il Papa ricorda che “solo una comunità dal respiro evangelico è capace di trasformare la realtà e guarire dal dramma dell’aborto e dell’eutanasia”, una comunità che “sa farsi ‘samaritana’ chinandosi sulla storia umana lacerata, ferita, scoraggiata”, una comunità che cerca il sentiero della vita. Allora, si legge nel Messaggio “punto iniziale per testimoniare il Vangelo della vita e della gioia è vivere con cuore grato la fatica dell’esistenza umana, senza ingenuità né illusorie autoreferenzialità”.
Così, concludono i Vescovi, “la Chiesa intera e in essa le famiglie cristiane, che hanno appreso il lessico nuovo della relazione evangelica e fatto proprie le parole dell’accoglienza della vita, della gratuità e della generosità, del perdono reciproco e della misericordia, guardano alla gioia degli uomini perché il loro compito è annunciare la buona notizia, il Vangelo”. (altro…)

Emergenza natalità, un grande piano Ue

Arturo Celletti - www.avvenire.it domenica 21 gennaio 2018
Il presidente del Parlamento europeo: se non si torna a fare figli, l’Europa si spegne e muore. Investimenti fuori deficit l’Unione può dire sì a una sola voce.
«L’Europa ha capito. Tutta l’Europa ha capito. Il governo europeo, il Parlamento europeo, gli Stati membri. L’emergenza natalità è sempre più un’emergenza europea e impone una riflessione larga e immediata che porti a un cambio di rotta ». Antonio Tajani spiega con il linguaggio della politica i numeri su cui si regge l’allarme dei demografi. «L’Europa tiene se ogni donna mette al mondo due figli. 2,1 per essere precisi. Tutti i Paesi della Ue sono sotto questo valore... L’Italia è a quota 1,35, la Spagna 1,33, persino la Francia è in calo e si ferma all’1,88». C’è la forza dei numeri e c’è quella delle immagini e delle parole. Il presidente del Parlamento Ue pensa a quelle scelte da Le Figarò che nei giorni scorsi ha deciso di aprire la prima pagina con una foto di un neonato e un titolo che non va tradotto: L’inquiétant déclin de la natalité française.
Presidente, cosa significa una riflessione che porti a un cambio di rotta? La crescita demografica è legata a doppio filo allo sviluppo economico. Se non si torna a fare figli l’Europa si spegne e muore.
Muore? I danni sul sistema pensionistico rischiano di essere terribili. E così le ripercussioni sulla sicurezza sociale degli Stati membri.
Come si determina il cambio di rotta? Serve fare fronte comune per fermare l’inverno demografico. Serve unità nell’Unione tra le grandi famiglie europee. E serve unità in Italia tra le forze politiche. L’emergenza natalità è priorità per tutti, non ci possono essere maggioranza e opposizione.
Lei guida il Parlamento europeo... E farò ogni cosa che rientra nelle mie possibilità per dare una scossa. Penso a un grande piano europeo per la natalità che veda il coinvolgimento di tutti gli Stati membri. Un piano fatto di stanziamenti, non di promesse. Un piano che leghi tutte le grandi questioni che esigono risposte veloci: la disoccupazione giovanile, le nuove politiche di sostegno al lavoro femminile. Guardavo gli ultimi dati italiani con sconcerto. Non è possibile che una donna su cinque dopo aver messo al mondo un bambino perda il lavoro nell’arco di due anni. E non è possibile che il 42 per cento di quelle che restano a lavorare denunci enormi difficoltà nel coniugare impegni familiari e lavorativi.
È una realtà buia... Sì, buia. Perché c’è una questione economica e ce n’é un’altra di libertà violata. Chi vuole mettere al mondo dei figli deve essere messo nella condizione di poterli fare. Io sono diventato padre per la prima volta a trentasei anni, ma è stata una mia scelta. Tanti giovani vorrebbero una famiglia prima e non possono averla. Perché non hanno lavoro, perché non hanno accesso al credito, perché non hanno protezioni. Ecco perché serve un grande patto tra la politica e la società. Che coinvolga le imprese, le banche, le associazioni, le forze vive del Paese.
Un patto per la famiglia... La famiglia è il tessuto connettivo della società, non possiamo costruire una società dove uno ignora l’altro. Dove i nonni non pensano ai nipoti e i nipoti non pensano ai nonni. E la mia è una riflessione laica, da presidente del Parlamento europeo: ogni figlio che nasce è una risorsa per la società. Questo deve essere presente nelle teste e nelle azioni della politica.
A che cosa pensa? Penso che non è più il momento di scelte decise sull’emergenza. Per invertire la rotta servono interventi strutturali e soprattutto serve una politica fiscale attenta alle famiglie. Il quoziente familiare? Il Fattore famiglia? A me basta che passi un principio: chi ha più figli paga meno tasse. Solo così si impone la correzione di rotta. Non con i bonus. Non con le misure spot. Non con promesse irrealistiche. Non con qualche 'una tantum'. Non con una politica assistenzialista.
Il quoziente familiare costa... Sì, costa, ma un fisco attento alle fami- glie è una priorità. Vera. E spero condivisa da tutti. Io dall’Europa farò la mia parte con impegno totale. Porrò nuovamente la questione già dal prossimo Consiglio europeo, convinto di essere capito. Ma il passo vero, e forse decisivo, sarebbe un altro. Conteggiare fuori deficit gli investimenti per un grande piano per la natalità. Non è una fuga in avanti e nemmeno un impegno. Tajani da solo non ha poteri, ma un via libera largo degli stati membri è possibile. Io sono pronto a parlare con il commissario al Bilancio della Ue, Guenther Oettinger. Abbiamo il dovere, come Europa, di mettere a tema la questione natalità. E, come Italia, di premere sull’Unione perché un eventuale sforamento per investimenti per la natalità venga accettato: c’è una situazione drammatica e una 'attenuante' può essere concessa.
Anche perchè in Italia le nascite crollano e si passa da record a record È vero, 473mila nuovi nati nel 2017: meno della metà di quanti ne nascevano cinquant’anni fa. E poi si muore anche di più. Pensavo ai dati del 2016, 134mila italiani in meno rispetto all’anno prima. Come se all’improvviso sparisse un’intera città come Ferrara. E solo l’arrivo dei migranti permette ai conti di stare in piedi. Anche l’immigrazione merita una riflessione seria. È un fenomeno con tante facce che va liberato da elementi ideologici. Bisogna coniugare accoglienza e rigore. Certo serve una politica seria. Serve dire no a una immigrazione incontrollata che porta solo schiavitù e sfruttamento. Non possiamo accettare essere umani pagati 2 euro l’ora. E non possiamo aprire le porte indiscriminatamente. Se vogliamo vera accoglienza, dobbiamo essere anche severi. Doibbiamo guardare i numeri e limitare gli ingressi. Ma, parallelamente, è giusto dire sì a una collaborazione sempre più forte con i Paesi del Sud del mondo. Possiamo lavorare mettendo in contatto le nostre e le loro università. Possiamo creare collaborazione tra imprese. Possiamo dire senza paura che l’immigrato che lavora è una risorsa.
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