Aborto e cimiteri. Ma che parole usiamo per quei figli non nati?
di Antonella Marinai
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 02 ottobre 2020
Le croci sono piccole, sottili, un po’ sbilenche. Ognuna ha un cartellino nero su cui è impressa una semplice scritta bianca, con un nome e cognome di donna e un codice numerico. È un lotto del cimitero Flaminio, a Roma, dove sono sepolti i bambini non nati. Intorno a questo campo si è sviluppato un dibattito aspro, come accade sempre quando si tratta di aborto.
Una dopo l’altra, sono diverse le donne che hanno reso pubblico il loro sconcerto perché mesi dopo un’interruzione di gravidanza hanno scoperto che i feti abortiti sono stati seppelliti a loro insaputa, e identificati in cimitero da una targa con il proprio nome. Il Garante per la protezione dei dati personali ha aperto un’inchiesta, alcuni parlamentari hanno presentato interrogazioni perché il nome della donna che ha scelto l’interruzione volontaria di gravidanza deve giustamente restare coperto da riserbo.
Quello che colpisce, in questa vicenda che da giorni occupa siti web e pagine di giornali, è la freddezza e il distacco con il quale si parla dei bambini non nati. Negli ospedali, raccontano le testimoni, nessuno ha offerto informazioni chiare e univoche su ciò che sarebbe successo ai resti dei propri figli. Come se non meritassero un briciolo di attenzione, dopo l’intervento. E in decine di articoli si ricostruisce ciò che prevede la legge italiana: se il feto è al di sotto delle 20 settimane di gestazione è considerato «rifiuto ospedaliero» da distruggere nell’inceneritore, a meno che i genitori ne richiedano la sepoltura. Se invece è tra le 20 e le 28 settimane di gestazione (quindi si tratta di Ivg terapeutica) si tratta di «parti anatomiche riconoscibili», come una gamba amputata, ed è obbligatoria la tumulazione, con o senza consenso dei genitori, a carico dell’azienda sanitaria o ospedaliera.
Alcune Regioni hanno approvato leggi per favorire le sepolture e hanno stipulato convenzioni con associazioni, altre si affidano direttamente ai servizi cimiteriali, come è accaduto nel caso segnalato a Roma. Questo, hanno spiegato nel dettaglio le cronache. Ma c’è un grande assente, che paradossalmente è il protagonista: il figlio non nato, appunto. Negli anni Settanta, le femministe ingaggiarono una grande battaglia per la legalizzazione dell’aborto; nel furore di quegli anni – lo riconobbe in una intervista “retrospettiva” ad Avvenire la filosofa Luisa Muraro – nessuna di loro aveva in mente il «figlio ».
Non lo consideravano, e forse è comprensibile, perché allora si trattava di una battaglia ideologica. Ma ora, trascorsi quegli anni, perché non riconoscere una pur minima dignità a un figlio non nato? Il diritto alla privacy è doveroso nei confronti di chi ha scelto di interrompere una gravidanza e bene fa il Garante a sollecitare cambiamenti nelle procedure. Ma il figlio? Non ha anch’esso un “piccolo”, minimo diritto? Di quello basilare, essenziale, inderogabile alla vita non ha potuto godere, di essere considerato persona nemmeno a parlarne (figuriamoci!), ma ora gli si toglie la pur minima dignità denominandolo freddamente solo e soltanto «rifiuto ospedaliero », «prodotto del concepimento », «parti anatomiche riconoscibili».
No, a questo non ci si può rassegnare. Non importa se ha calcato o no questa terra, né per quanto tempo lo ha fatto: una persona, un figlio è stato concepito e da qual momento è vita. Sacra. A finire nel calderone delle polemiche è stata anche la sepoltura in sé: perché quella croce cristiana, perché quella tomba non richiesta, si sono chiesti molti. Ebbene, non serve citare Foscolo e i suoi Sepolcri per ricordare che la sepoltura dei morti è un segno di misericordia e di civiltà di cui non possiamo privarci pena la nostra umanità. Vuol dire che quella persona non è passata invano, che la sua vita ha avuto un valore, un senso. È naturale costruire mausolei per i potenti, ma è tanto più importante offrire una croce ai più piccoli e umili e indifesi di tutti, i bambini non nati. Un quotidiano ieri titolava in prima pagina «Il diritto all’aborto viene violato anche nei cimiteri».
Ma nessun cimitero viola la possibilità per le donne di avvalersi della legge 194 (a proposito: l’aborto non è un diritto, ma una tragedia in forma di prestazione sanitaria regolata da una specifica normativa). La sepoltura, semplicemente, restituisce una dignità al bambino non nato. Sotto una croce non è più una «cosa» o (vengono i brividi a scriverlo) un «rifiuto», ma una creatura innocente che non ha potuto nascere, il più innocente di tutti. Uno di noi.