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Vi presento Giorgio, atteso per quindici anni

di Giorgia Cozza
da www.dolceattesa.com
@Riproduzione Riservata del 29 dicembre 2017
La storia di Michela, che con grande coraggio e determinazione ha creduto al suo sogno di diventare mamma. Fino a realizzarlo.-

Quindici anni per diventare mamma. È una storia di incredibile coraggio, forza e determinazione, quella di Michela, 47 anni, di Ischia che per stringere al cuore il suo meraviglioso bambino, il piccolo Giorgio che oggi ha tredici mesi, ha dovuto affrontare un percorso faticoso, costellato di prove, delusioni, domande senza risposta. A guidarla, sempre e comunque, la speranza. Sarebbe diventata mamma. Quel sogno coltivato con tanta tenacia, un giorno si sarebbe avverato.

Michela, cominciamo dall’inizio, quando hai sentito che era il momento giusto per diventare mamma

Era il 2002. Avevo 32 anni e sono rimasta incinta. Ero felicissima! Ma l’attesa si è presto interrotta.  Gravidanza extrauterina è stata la diagnosi del ginecologo che mi seguiva. Per risolvere la situazione è stato necessario un intervento chirurgico e in quell’occasione il medico ha notato che c’erano molto aderenze a livello delle tube e mi ha avvisato che questo avrebbe reso difficile iniziare una nuova gravidanza. Secondo lui sarebbe stato necessario prendere in considerazione l’inseminazione artificiale.

E così ha avuto inizio un lungo percorso che ti ha portato in tanti ospedali diversi…

Da quel momento ho subìto altre tre operazioni in laparoscopia per eliminare le aderenze. Fatto l’intervento i medici dichiaravano che era il momento buono per tentare la fecondazione, ma i tentativi non andavano mai a buon fine.
Gli anni passavano, ma io non rimanevo incinta. Mi sono rivolta a centri specializzati dal sud al nord Italia: a Napoli, Avellino, Roma, Ancona, Firenze, Torino, Milano e altri ancora. Ma nessun medico era in grado di dirmi quale fosse il mio problema e come avrei potuto risolverlo. Mi sono sottoposta a più di venti tentativi. La fase di preparazione, precedente alla fecondazione assistita, andava sempre bene, il mio corpo rispondeva adeguatamente. Gli embrioni erano sani, vitali, di buona qualità, ma non c’era verso di farli attecchire. In questo percorso ho incontrato tanti medici, con alcuni si è creato un bellissimo rapporto, anche dal punto di vista umano. Ho conosciuto persone buone e disponibili che mi hanno incoraggiata e sostenuta e persone che si sono approfittate del mio grande desiderio di maternità, per guadagnare soldi con una visita o un’analisi in più che non sarebbero state necessarie.

Hai cercato risposte anche fuori dall’Italia

Sì, prima in Svizzera, a Locarno. Ricordo ancora la corsa contro il tempo per raggiungere il centro e consegnare gli embrioni congelati prima della chiusura del laboratorio, alle 16 in punto. Partita all’alba da Napoli sono arrivata con il treno a Milano. A Milano mi aspettava una persona conosciuta per lavoro – io faccio la guida turistica da più di vent’anni – che mi ha accompagnata in auto fino al confine con la Svizzera. Varcato il confine, un’altra persona che era stata mia cliente mi ha accompagnata a Locarno e sono riuscita ad arrivare prima che il laboratorio chiudesse.
Alla fine, però, non mi sono trovata bene in quel centro. E, di nuovo, mi sono rivolta altrove. Sono stata anche a Boston.

In America?

Sì. Ho una cognata che abita là e abbiamo preso in considerazione la possibilità dell’utero in affitto. Noi siamo molto legate e lei era disposta a fare questo per me, ma secondo i medici non era una buona soluzione. L’età di mia cognata era a parer loro troppo avanzata, mentre io ero ancora abbastanza giovane per tentare di iniziare una gravidanza.

Tanti viaggi, tanti tentativi, non ti sei mai scoraggiata? Non hai mai pensato di arrenderti?

Non mi sono mai fermata. Pur di realizzare il mio sogno ero disposta a tutto. Esami, analisi, interventi, trattamenti. Io volevo diventare mamma.
Qualcuno lungo il percorso mi ha consigliato di prendere in considerazione l’adozione, ma io volevo la gravidanza… Volevo le sensazioni. Volevo vedere la pancia crescere e sentire i movimenti del bambino nel mio grembo, vivere la nascita, i primi momenti, allattare… Lo desideravo tanto. Non importava che fosse un maschio o una femmina. Volevo diventare mamma.
Certo, ho avuto i miei momenti di sconforto. Ero circondata da nipotini, la mia è una bella famiglia numerosa,  siamo cinque figli, mio marito ha tre fratelli. A volte, guardando tutti quei bambini mi chiedevo: “Perché a me no? Io non me lo merito un bambino? Ho sempre cercato di essere buona, di essere generosa, faccio volontariato…”. Però non ho mai pensato di rinunciare. Finché i medici non avessero detto che era ormai impossibile, finché c’era una speranza io avrei continuato a tentare.
La fede mi è stata di grande aiuto. Ho pregato tanto. Sono stata a Lourdes tre volte come volontaria dell’Unitalsi, sono stata da Papa Giovanni, Papa Francesco… A Lourdes poi sono tornata, insieme a Giorgio. A ringraziare.
Mi hanno sostenuto anche i miei clienti, tutte le persone che negli anni ho conosciuto facendo la guida turistica che, avendo sentito la mia storia e conoscendo il mio grande desiderio, facevano il tifo per me.

E tuo marito? Come ha vissuto questo percorso?

Mi è stato vicino. Sì, mi ha sempre sostenuta. D’altronde lui sa che sono una “capatosta”, che non avrei rinunciato. La sua unica preoccupazione era  la mia salute. Temeva che tutte quelle cure, sul lungo periodo, avrebbero avuto  degli effetti indesiderati. In occasione degli ultimi tentativi aveva chiesto ai medici se fossero pericolosi per me, ma lo avevano rassicurato, dicendo: “Sua moglie è forte, ha tanta fede, non le succederà nulla”.

E così arriviamo all’ultima tappa del tuo lungo cammino. La Spagna

Sì, mi sono rivolta al centro di procreazione medicalmente assistita IVI di Barcellona. Era il 2010. Sono stata seguita dalle dottoresse Daniela Galliano e Isama Loiudice (che ora sono al Centro IVI di Roma). Ogni anno mi sono sottoposta a un paio di tentativi di impianto. Per aumentare le possibilità di riuscita, in questo centro l’embrione viene trasferito nell’utero allo stadio di blastocisti, dopo alcuni giorni di coltivazione in vitro.

Ma anche in Spagna raggiungere il traguardo non è stato immediato

No. Ci sono voluti sei anni. Al penultimo tentativo, ancora fallito, mi sono veramente scoraggiata. Ero convinta che sarebbe stata la volta buona e invece… Ricordo di aver pensato: “Basta sono stufa!”. Ma era solo un momento di rabbia. Ho subito ricominciato a mettere da parte i soldi per il viaggio successivo. “Va beh”, mi sono detta, “faccio un altro tentativo”.

Un tentativo ancora e siamo all’inizio del 2016. E finalmente…

Mi sono sottoposta al transfer di due blastocisti, il 14 febbraio. Poi, invece di tornare a Ischia, con mio marito abbiamo deciso di raggiungere un amico che ci aveva invitato alle Canarie. La dottoressa che mi seguiva mi ha dato il via libera, spiegando che un viaggio di un paio di ore non comportava rischi. Unica raccomandazione: non fare il bagno, perché l’acqua in quel periodo era molto fredda. Ci siamo goduti la vacanza, dieci giorni di relax in attesa del responso…

Raccontaci di quel momento. Di quando hai scoperto che aspettavi un bambino.

Mio marito mi aveva portato un test di gravidanza dalla farmacia. Io l’ho fatto e di fronte al risultato positivo… ho iniziato a piangere. Piangevo così tanto che non riuscivo a parlare, così lui ha pensato che fosse negativo. Non potevo crederci… Davvero, non ci riuscivo. L’ho mandato a comprare un altro test. In due giorni ne ho fatti cinque.
Dopo tanta strada, tanta sofferenza, tanti pianti… Aspettavo un bambino. Ce l’avevo fatta.

E così è iniziata la tua gravidanza tanto attesa. Come l’hai vissuta? Come stavi?

Ho dovuto assumere moltissimi farmaci, cortisone, eparina, cardioaspirina, i medici temevano possibili problemi di coagulazione. Questo ha comportato un grande fastidio allo stomaco, ho sofferto di nausea continua, non riuscivo a mangiare.
Dal quinto mese, però, superato questo problema, sono stata benissimo. Le settimane sono letteralmente volate. Io mi sentivo in gran forma. Non ho voluto sottopormi all’amniocentesi perché era certa che il mio bambino fosse sano e non volevo correre neppure il minimo rischio. Unica cosa, è stato necessario tenere sotto controllo dei fibromi, quattro, che si erano formati a livello uterino, per verificare che non andassero a interferire con la crescita del bambino. Ma a parte questo, tutto procedeva per il meglio.
Al lavoro, i clienti erano entusiasti. Abbiamo fatto un sacco di foto ricordo! Io ho adorato il pancione, mi sono anche fatta disegnare una cicogna che portava un bebè.
Sono andata al mare praticamente ogni giorno, l’acqua mi ha aiutata a stare bene e a rilassarmi. Ho fatto l’ultimo bagno il 13  ottobre e il 20 ottobre Giorgio è nato! Non è un caso se ama tantissimo l’acqua, adora fare il bagno…

Sapevi che aspettavi un maschietto?

Io sì, il medico no. In occasione del controllo ecografico del quinto mese il ginecologo che mi seguiva, un amico, lo stesso che mi aveva operata in occasione della gravidanza extrauterina, ha dichiarato che al cento per cento aspettavamo una bambina. E io avevo risposto: “Secondo me ti sbagli. Al cento per cento è Giorgio”. Avevo già deciso il nome, lo sapevo da sempre: si sarebbe chiamato come il mio papà, che avevo perso alcuni anni prima.
Avevo ragione io. Era proprio Giorgio. E assomiglia tanto al mio papà, come lui ha i capelli biondi e gli occhi azzurri.

E arriviamo al momento della nascita. Quando lo hai visto per la prima volta…

Giorgio è nato con un cesareo. Non me la sono sentita di vivere l’esperienza del parto naturale. Avevo paura, non ero tranquilla. In occasione dell’intervento, i medici hanno anche asportato i fibromi. Sono entrata in sala operatoria alle 10.15 e alle 11.45 è nato.
Il mio bambino! 3650 grammi per 53 centimetri. Quando lo hanno posato sul mio petto… non ci potevo credere! Veramente.
Ancora adesso, dopo 13 mesi, spesso mi capita di guardarlo e pensare: “Ma davvero sei qui? Non ci posso credere”. Mi sono gustata ogni attimo, le prime settimane, i primi mesi. Quante emozioni! Ho ripreso il lavoro con un orario ridotto per stare con lui il più possibile. E quando la signora  cui l’ho affidato mi ha riferito che aveva detto “mamma” per la prima volta, non sono andata a lavorare per due giorni perché volevo esserci quando lo avrebbe ripetuto!

Giorgio è un bambino meraviglioso. Simpatico, solare, sempre sorridente, sempre contento. A Ischia tutti gli vogliono bene. Lo chiamano “re Giorgio”. Questa estate l’ho portato con me al lavoro, perché volevano conoscerlo.
Al centro di Barcellona c’è la sua foto appesa, è una piccola icona.

La nostra storia serve da incoraggiamento a tante donne che stanno vivendo un percorso simile. Io sono contenta di raccontare la mia esperienza. A tutte dico che se ce l’ho fatta io… possono farcela anche loro!

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