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Papa a Genova. «Lavoro per tutti, non reddito per tutti. Il lavoro è dignità»

Lo ha detto Francesco all'Ilva. A clero e religiosi in cattedrale: no al prete statico che programma tutto. Ai giovani: non siate turisti della vita. Le parole ai bambini del Gaslini.-
Alle 17 sarà celebrata la Messa nel Piazzale Kennedy. Il Papa ripartirà da Genova alle 18.45.

Ore 16 la visita all'ospedale pediatrico Gaslini

Il Papa prima di parlare con i pazienti ha fatto visita al reparto di Rianimazione, trattenendosi a lungo. Nel piazzale dell'ospedale ha poi preso la parola il cardinale Bagnasco, che ha descritto il luogo come «un santuario della sofferenza», quella dei bimbi e delle famiglie, che riassume il mistero della sofferenza umana, ma anche di «santuario della tenerezza» di tanti operatori e famiglie nei confronti dei piccoli pazienti.
Il Papa poi ha pronunciato un breve discorso. La sofferenza dei bambini è la più dura da accettare. «Tante volte mi faccio una domanda: perché soffrono i bambini? E non trovo una risposta, guardo il crocifisso e mi fermo lì». E poi: chi serve i malati con amore serve Gesù che ci apre il Regno dei cieli.
L'attesa dei pazienti
Selfie per immortalare il momento dell'attesa, cori e striscioni dedicati a papa Francesco, oltre alle immancabili bandiere bianche e gialle che sventolano nel giardino dell’istituto pediatrico “Giannina Gaslini” dove alle 16 è arrivato papa Francesco. Nonostante il sole a picco tantissimi sono i piccoli pazienti in prima fila accompagnati dai genitori e dal personale medico dell’ospedale pediatrico genovese. Al Papa chiederanno una carezza e una preghiera che li consoli anche nelle giornate più difficili. Il presidente della storica istituzione genovese voluta dal senatore Gerolamo Gaslini per onorare la figlia morta in tenera età, ha voluto ricordare che sono in cura 700 bambini di 70 diverse nazionalità: “In questo quadro la visita del Pontefice che è a capo della Chiesa, ma al tempo stesso rappresenta tutte le religioni, è un evento straordinario”.

Ore 13.30 il pranzo con i poveri

Papa Francesco ha pranzato, a porte chiuse, con 135 persone - poveri, profughi, senza fissa dimora e 25 detenuti delle carceri di Genova- nella Sala del Caminetto del Santuario della Madonna della Guardia. Il pranzo è stato organizzato dalla cooperativa sociale San Giovanni al Santuario della Guardia. Menù: trofie al pesto, arrosto e crostata. Il Papa ha pranzato tra due migranti africani giunti da poco in Italia e in attesa di ottenere asilo, con i quali ha parlato e scherzato a lungo. Poi si è riposato brevemente prima di riprendere la visita.

Ai giovani: non siate turisti della vita, abbiate coraggio

Papa Francesco prende la parola esortando i fedeli: «Vi invito a pregare la Madonna in silenzio: ognuno le dica quello che ha nel cuore. È nostra mamma». Anche il Papa si siede, in preghiera, gli occhi rivolti alla statua lignea della Madonna sopra l'altare. Rivolge quindi a voce alta una preghiera a Nostra Signora della Guardia: «Ascolta le nostre confidenti preghiere, soccorrici in ogni nostra necessità e liberaci dal male, soprattutto dal peccato». Dopo l'introduzione del cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, il Papa risponde a quattro domande formulate dai giovani della missione diocesana. Una missione dei giovani ai giovani dal titolo «Gioia piena». L'incontro viene seguito in collegamento televisivo dai detenuti del carcere di Genova.
«Non siate turisti superficiali tra la gente»
«Gioia non è lo stesso che divertirsi. Sì, ti fa felice la gioia, ma non è superficiale. È questa gioia che avete vissuto in quest'anno» dice il Papa ai giovani della missione diocesana. «Adesso vorrei chiedere: come avete sentito che questa esperienza che avete vissuto vi ha trasformati? Perché andare in missione significa lasciarsi trasformare dal Signore. Normalmente, quando viviamo queste attività, ci rallegriamo quando le cose vanno bene. Ma c'è anche un'altra trasformazione, che è nascosta: l'essere missionari ci porta a imparare a guardare con gli occhi nuovi». Così smettiamo di essere «turisti della vita», che guardano superficialmente solo quello che vogliono, e impariamo a vivere la vita per quello che è, toccando la realtà. «La missione ci avvicina al cuore di tante persone e distrugge l'ipocrisia». «Quando vado in missione, non è solo la decisione mia a farmi andare: è Gesù che mi fa guardare la vita con occhi nuovi». La missionarietà, spiega Francesco, ci insegna che non esiste una Chiesa dei puri e una degli impuri. «Siamo tutti peccatori e tutti con lo Spirito Santo dentro che può farci santi».
Solo amando si può essere missionari
Come essere missionari nei confronti dei giovani in difficoltà, magari alle prese con problemi di droga? «Solo amando, con un cuore che ama». Il Papa aggiunge che, in confessionale, chiede se dando l'elemosina si tocca la mano e si guarda negli occhi il mendicante: «Amare è avere la capacità di stringere la mano sporca e di guardare gli occhi di chi è in situazione di degrado e dire: per me tu sei Gesù. È questo l'inizio di ogni missione». Se penso di andare in missione tra «questi stupidi», «meglio che stia in casa a dire il Rosario, mi farà meglio». Perché dovrei amarli? «C'è una certezza che ci deve fare testardi nella speranza: in ognuna di queste persone vittime di situazioni difficili c'è un'immagine di Dio che, per diversi motivi, è stata maltrattata, calpestata, c'è una storia di dolore, di ferite che noi non possiamo ignorare. E questa è la pazzia della fede». Come guarda Gesù questa gente? Dobbiamo imparare a guardare con gli occhi di Gesù. Quando andremo «dall'altra parte», Gesù ci dirà che «Lui era quella gente». Tutti siamo sporchi, ricorda Francesco, e Gesù ci ha salvato.
Mai aggettivare le persone: ciascuno ha un nome
«Solo Dio può giudicare le persone, e lo farà» alla fine dei tempi. Ma noi non dobbiamo dire: è un delinquente, è un ubriacone. No: si va in missione fra le persone che hanno un nome, non un aggettivo, ribadisce il Papa. «Non do elemosina a quello perché si beve tutto» esemplifica il Papa. E obietta: «Ma se è l'unica cosa che gli dà gioia?». Se vogliamo essere missionari del Vangelo «mai escludere, mai isolare, mai ignorare nessuno».
Il coraggio di farsi un giudizio proprio
Per essere discepolo «ci vuole lo stesso cuore del navigatore: orizzonte e coraggio». La capacità di contemplare l'orizzonte vuol dire anche farsi un giudizio proprio, ricorda Francesco. «A me piace questo Gesù che importuna, è un Gesù vivo. Dobbiamo imparare a sfidare il presente: di fronte alle cose che ci propone la cultura attuale ci dobbiamo domandare: ma questo è normale o no? I giovani sono le prime vittime di questi venditori di fumo. Uno dei primi coraggi che voi giovani dovete avere è domandarvi: ma questo è normale o no? Il coraggio di cercare la verità... È normale che il Mediterraneo sia diventato un cimitero? L'Italia è generosa, ma tanti Paese alzano muri contro questa gente sfruttata e piagata nei propri Paesi». Se non è normale, continua il Papa, dobbiamo mobilitare le nostre risorse per cambiare. «Se non è normale, coinvolgiti. Se non hai coraggio, chiedilo a Dio».
Il Papa si congeda dai giovani - anche quelli che lo ascoltavano fuori dal santuario, sotto un sole cocente - con un "suggerimento": recitare ogni mattina una piccola preghiera: «Signore, ti chiedo non smettere di sfidarmi, vieni a importunarmi un po' e dami il coraggio di poter risponderti».
Infine, un breve saluto ai detenuti che hanno seguito l'incontro in collegamento televisivo dal carcere di Genova.

Al clero: «No al prete statico, chiuso alle sorprese di Dio»

L'incontro nella cattedrale di San Lorenzo con i vescovi della Liguria, clero, seminaristi e religiosi e rappresentanti di altre religioni si apre con un momento di silenzio e preghiera. «Vi invito a pregare insieme per i nostri fratelli copti egiziani, che sono stati uccisi perché non volevano rinnegare la fede» ha esordito il Papa ricordando il massacro di ieri in Egitto e invitando tutti presenti a recitare un'Ave Maria. È poi cominciato il dialogo con i presenti, sempre in forma di 4 domande alle quali il Papa ha risposto.
Lo stile del prete? Quello di Gesù, fra la gente
Alla domanda di un viceparroco, Francesco risponde: «Più imitiamo lo stile di Gesù, più faremo bene il nostro lavoro». Ma qual era lo stile di Gesù? «Sempre in cammino, in mezzo alla folla». «La maggior parte del tempo la passava sulla strada. Poi la sera si nascondeva per pregare». «Gesù era esposto alla dispersione, come tutti quelli che camminano. Non dobbiamo avere paura del movimento e della dispersione del nostro tempo. La paura più grande è quella di una vita statica, del prete che ha tutto ben risolto, in ordine, strutturato: gli orari, aperture». «Al prete statico chiederò: ma non ti viene voglia di passare con Signore un po' più tempo? Quel parroco è un buon imprenditore, ma vive da cristiano?». «Gesù sempre è stato un uomo aperto alle sorprese di Dio. L'incontro col Padre è l'incontro con le persone». «Tutto si deve vivere in questa chiave dell'incontro, non c'è una formalità troppo rigida che impedisca l'incontro. Nella preghiera tu puoi stare un'ora davanti al tabernacolo ma pregando senza incontrare il Signore, come un pappagallo. Così perdi il tuo tempo. Con la gente è lo stesso». «Noi preti sappiamo quanto soffre la gente quando viene a chiedere qualcosa e diciamo "sì, sì ma non ho tempo"». Talvolta la gente è «stufante», ma il prete deve «lasciarsi stancare dalla gente, non difendere troppo la propria tranquillità». «Incontrare la gente è una croce? Quanti drammi devi vedere, e questo stanca l'anima». Una delle cose che non piacciono al Papa è «quando il sacerdote parla troppo di se stesso: non è un uomo dell'incontro, al massimo dello specchio, ha bisogno di riempire il vuoto del cuore parlando di sé». «Il prete che ha una vita di incontro col Signore e con la gente, finendo la giornata strappato, san Luigi Orione diceva "come uno straccio", sa ascoltare, è uomo di orecchio, si lascia stancare dalla gente, è come Gesù». Una cosa che non aiuta è la «debolezza nella diocesanità». «Nella sua vita Gesù mai si è legato alle strutture, sempre si legava ai rapporti. Se un sacerdote vede che la sua vita è troppo legata alle strutture, non va bene questo». «Ho sentito un uomo di Dio che diceva: nella Chiesa si deve vivere quel tetto minimo di strutture per il massimo di vita e mai il contrario. Senza rapporti con Dio e con il prossimo, niente ha senso nella vita di un prete. Farai carriera, ma il cuore rimarrà vuoto». «Questi criteri sono antichi? Così è la vita. Sono i vecchi criteri della Chiesa che sono moderni, ultramoderni».
La fraternità è minata dall'invidia e dalla gelosia
Alla domanda sulla fraternità sacerdotale, il Papa risponde con un'altra domanda: «Quanti anni ha Lei? Ottantuno? Gliene avrei dati 20 di meno». «Fraternità è una bella parola, ma non si quota in Borsa. È tanto difficile la fraternità, è un lavoro di tutti i giorni». «Ascoltarsi, pregare insieme, un buon pranzo e fare festa insieme. I preti giovani, una partita di calcio insieme. Questo fa bene. Fratelli». «Dobbiamo recuperare il senso della fraternità. È una parola che non è entrata profondamente nel cuore dei presbiteri ancora». «Dobbiamo aiutarci l'uno l'altro. Anche litigare, come litigavano i discepoli quando si domandavano chi fosse il più grande di loro. È bello sentire discussioni nelle riunioni sacerdotali perché se c'è discussione c'è libertà, amore, fiducia, fratellanza». «Vi dirò una cosa: sapete che per fare le nomine di vescovi si chiedono informazioni. Alcune volte si trovano vere calunnie o opinioni che svalutano la persona del prete. E si capisce che dietro c'è gelosia, invidia. C'è tradimento, si spella il fratello». «Il nemico grande della fraternità sacerdotale è questo: la mormorazione, il giudicare male i fratelli. Più siamo chiusi nei nostri interessi, più giudichiamo gli altri». E cita il cardinale Canestri: la Chiesa è come un fiume, l'importante è essere dentro il fiume, non importa se un po' più sulla destra o sulla sinistra. «Tante volte noi vogliamo che il fiume diventa piccolo, soltanto dalla nostra parte, e condanniamo gli altri. Tutti dentro il fiume, tutti. Questo si impara in seminario. Io consiglio ai formatori: se vedete un seminarista bravo ma che è un chiacchierone cacciatelo via, se non si corregge, perché sarà un'ipoteca per la fratellanza presbiteriale dopo. "Alleva corvi e ti mangeranno gli occhi" dice un detto».
La diocesanità ci salva dall'astrazione
Rispondendo a una religiosa, il Papa affronta il tema a lui caro della diocesanità. «La diocesi è quella porzione del popolo di Dio che ha faccia. Ha fatto, fa e farà storia. Tutti siamo inseriti nella diocesi». «I carismi non nascono dall'aria, ma in posti concreti». «E questo ci insegna ad amare gente concreta in posti concreti: la concretezza della Chiesa la dà la diocesanità. Questo aiuta il carisma a farsi più reale, più vicino». Quando i religiosi si riuniscono in capitolo, vengono dalle diverse concretezze. Un carisma che non si inserisse nella diocesanità, rischierebbe di essere autoreferenziale, «e questo non è la Chiesa, che è universale». il Papa ricorda l'importanza della disponibiltà: essere disponibili a andare oltre, non avere paura dei rischi.
il calo delle vocazioni? Dare testimonianze di autenticità e gioia
«C'è un problema demografico in Italia, siamo sotto zero, se non ci sono ragazzi e ragazze non ci saranno vocazioni. È più facile convivere con un gatto o con un cane che con i figli. Ma la crisi vocazionale tocca tutta la Chiesa, anche laicale e matrimoniale. Non si sposano, i giovani: convivono. Cosa dobbiamo fare, cambiare? Dobbiamo imparare dai problemi». «La tratta delle novizie è stata uno scandalo, nelle Filippine e anche in alcuni Paesi dell'America Latina. Alcune congregazioni andavano in Paesi ex comunisti, poveri, quindici anni fa, anche qui a Roma». «È difficile il lavoro vocazionale, ma si deve fare. Dobbiamo essere creativi». Come si fa? Con la «fedeltà al carisma vocazionale e con la testimonianza che siamo felici e che finiamo la nostra vita felici». Una testimonianza di gioia, anche nel modo di vivere. «È importante la missionarietà, lo zelo apostolico che non vive per se stesso ma per gli altri». E cita un caso, a Buenos Aires nel 1992, di ristrutturazione di una casa di suore con la tivù in ogni stanza: ma i giovani chiedono testimonianze di autenticità. «Con certi comportamenti siamo stati noi stessi a provocare la crisi vocazionale. Ci vuole una conversione pastorale e missionaria». Il Papa invita a riprendere in mano l'Evangelii Gaudium. «Dio le vocazioni le dà. Ma bisogna ascoltare i giovani ed essere sempre in movimento». Il seme della vocazione nasce dalla testimonianza: «Vorrei essere come quello». La testimonianza «si fa senza parole». Infine il Papa aggiunge: «il Signore è grande e ci darà figli e nipoti nelle nostre congregazioni e nelle nostre diocesi».

Ore 9.30 l'attesa in cattedrale

Nella Cattedrale di San Lorenzo i canti e la recita del rosario scandiscono il tempo dell’attesa: oltre 1.600 sono i religiosi e le religiose, i sacerdoti e i vescovi che aspettano l’arrivo di papa Francesco. Dalle prime ore del mattino in file ordinate trepidanti e ansiosi sacerdoti ma anche suore e consacrati convergevano verso una piazza San Lorenzo transennata e controllata dalle forze dell'ordine e dal servizio di volontari predisposto dalla Chiesa di Genova. Fuori dalla Cattedrale un maxi schermo permette di seguire la celebrazione di papa Francesco anche a chi non ha trovato posto nella Cattedrale stracolma: a quello che doveva essere l'appuntamento con la comunità religiosa genovese si è unito però anche un gran numero di fedeli che si sono disposti appena fuori dalle transenne per salutare l’arrivo nel centro cittadino di papa Francesco. (dall'inviata Ilaria Solaini)

All'Ilva: «Il lavoro è una priorità umana. E del Papa»

«È la prima volta che vengo a Genova, qui vicino al porto da dove è partito il mio papà. E questo mi fa una grande emozione» così ha esordito papa Francesco, dopo aver ascoltato il saluto di benvenuto del cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova. Si è poi svolto il dialogo, in 4 domande e 4 risposte, con esponenti del mondo del lavoro. Un imprenditore, una lavoratrice interinale, un sindacalista, un disoccupato.
ANALISI Lavoro e dignità per i suoi figli: all'Ilva il Papa come un «semplice» prete dell'inviato Paolo Viana
Il buon imprenditore e lo speculatore
Accolto dagli applausi, il Papa scandisce: «Il lavoro è una priorità umana, e quindi della Chiesa e del Papa». «Non c'è buona economia senza buon imprenditore» afferma. «Il lavoro va fatto bene». E pensare che il lavoratore lavori bene solo perché è pagato è una grande disistima nei suoi confronti. Bisogna lavorare bene per rispetto della propria dignità, e della dignità del lavoro. «Il vero imprenditore conosce i suoi lavoratori, ne condivide le fatiche e le gioie. Se non ha l'esperienza della dignità del lavoro non sarà un buon imprenditore. Quando deve licenziare qualcuno è sempre una scelta dolorosa. Nessun buon imprenditore ama licenziare la sua gente. Chi pensa di rivolvere il problema della sua impresa licenziando gente è un commerciante. Oggi vende la sua gente, domani venderà la dignità propria». E ricorda l'episodio, già citato in altre occasioni, di un imprenditore che lo ha avvicinato piangendo, dopo la Messa in Casa Santa Marta, perché costretto a dichiarare fallimento facendo perdere il lavoro a 60 persone. «Pregava e piangeva». L'imprenditore «non è uno speculatore, che usa e strumentalizza persone per fare profitto». Lo speculatore licenzia, sposta l'azienda, senza problemi. «Con lo speculatore l'economia perde volto e volti. Dietro le decisioni dello speculatore non ci sono persone. Bisogna temere gli speculatori, non gli imprenditori». «Paradossalmente, qualche volta il sistema politico sembra incoraggiare chi specula sul lavoro e non chi crede nel lavoro. Perché crea burocrazia e controlli, così chi non è speculatore rimane svantaggiato e chi lo è riesce a trovare i mezzi per eludere i controlli». il Papa cita l'economista Luigi Einaudi: «Milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge, non soltanto la sete di guadagno».
Il ricatto sociale e la dignità. «Lavoro per tutti, non reddito garantito»
Francesco prende poi spunto dalle parole di una lavoratrice interinale: «Tu hai finito con la parola "riscatto sociale". A me viene in mente "ricatto sociale". Quello che dico adesso è accaduto in Italia un anno fa. C'era povera gente disoccupata. La ragazza che me lo ha raccontato era colta, parlava alcune lingue. Le hanno detto: saranno 10-11 ore al giorno, lei ha detto "Sì, sì". Le hanno detto: si comincia con 800 euro al mese. Lei: "800 soltanto, 11 ore?". L'impiegato dello speculatore le ha detto: signorina, guardi indietro la coda, se non le piace se ne vada. Questo è ricatto». «Un'altra persona mi ha raccontato che ha lavoro, ma da settembre a giugno. Viene licenziato a giugno e ripreso a settembre. E così si gioca, nel lavoro in nero». Dopo queste aggiunte a braccio, Francesco prende in mano il testo scritto: «I luoghi della Chiesa sono i luoghi della vita, dunque anche le piazze e le fabbriche. Molti degli incontri tra Dio e gli uomini sono avvenuti mentre le persone lavoravano: Mosè pascolava il gregge, i primi discepoli erano pescatori. La mancanza di lavoro è molto più del venire meno di una sorgente di reddito per poter vivere. Lavorando noi diventiamo "più" persone, la nostra umanità fiorisce. I giovani diventano adulti solo lavorando». «Il lavoro è amico dell'uomo e l'uomo è amico del lavoro. Gli uomini e le donne si nutrono con il lavoro, con il lavoro sono unti di dignità». Per questo «attorno al lavoro si unisce l'intero patto sociale». Quando non si lavora «la democrazia entra in crisi». E cita l'articolo 1 della Costituzione italiana: «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». «Togliere il lavoro, sfruttare la gente è anticostituzionale». «L'obiettivo vero da raggiungere non è il reddito per tutti, ma il lavoro per tutti. Perché senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti». «Il lavoro di oggi e di domani sarà diverso, forse molto diverso da quello di ieri. Ma dovrà essere lavoro, non pensione. Si va in pensione all'età giusta, è un atto di giustizia. Ma è contro la dignità delle persone mandarle in pensione a 40 anni, dare loro un assegno dello Stato e dire "Arrangiati"». «La scelta è fra il sopravvivere e il vivere».
La meritocrazia è un'ingiustizia
La competitività non è buona impresa, perché mina «quel tessuto di fiducia che è l'anima di ogni organizzazione». «Bisogna dire con forza che questa cultura competitiva tra i lavoratori dentro l'impresa è un errore e quindi va cambiata se vogliamo il bene dell'impresa, dei lavoratori e dell'economia». Un altro errore: la meritocrazia. «Usa una parola bella, il merito, ma sta diventando una legittimazione etica della diseguaglianza perché interpreta i talenti delle persone non come un dono ma come un merito, determinando un sistema di vantaggi e svantaggi cumulativi». In questa cultura, «il povero è considerato un demeritevole e quindi un colpevole». È la vecchia logica degli amici di Giobbe, che volevano convincerlo di essere colpevole della propria sventura. È la logica del fratello maggiore nella parabola del Figliol Prodigo.
No al lavoro domenicale
Una disoccupata. Ci sono quelli che vorrebbero lavorare ma non riescono e quelli che sono «Senza il tempo della festa, il lavoro è schiavismo. Nelle famiglie dei disoccupati non è mai domenica. Per celebrare la festa dobbiamo celebrare il lavoro». Il lavoro è fatica, ma «una società edonista che vuole solo il consumo non capisce il valore del lavoro». «Tutte le idolatrie sono esperienze di puro consumo». «Senza ritrovare una cultura che stima la fatica e il sudore - sottolinea il Papa - continueremo a sognare il consumo di puro piacere». «Il lavoro è il centro di ogni patto sociale».
E papa Francesco chiude con l'invocazione allo Spirito Santo: «Vieni Santo Spirito... nella fatica riposo, nella calura riparo, nel pianto conforto. Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna. Amen».

Ore 8.30

Comincia il viaggio apostolico a Genova di papa Francesco con la prima tappa allo stabilimento Ilva di Cornigliano, dove il Papa risponde a 4 domande di un imprenditore, una lavoratrice interinale, un sindacalista e un lavoratore. Partecipano all'incontro 3.500 persone.

Ore 8.20

Papa Francesco atterra all'aeroporto Cristoforo Colombo di Genova. Il Pontefice è arrivato nello scalo genovese a bordo di un Falcon dell'aeronautica militare, partito dall'aeroporto di Ciampino. Ad attenderlo c'erano le massime autorità genovesi civili ed ecclesiastiche.
da www.avvenire.it
@ Riproduzione Riservata del 27 maggio 2017
 
 
 
 
 

 

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