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«LE PAURE DI UN 14ENNE CHE DI NOTTE VIENE NEL LETTONE»

di Fabrizio Fantoni

Alberto è un adolescente, un ragazzo normalissimo. Non ha particolari ansie, né a scuola né con gli amici. Se non che spesso di notte viene a dormire nel lettone: si sveglia e dice di avere paura, ma non si sa di che cosa. La risposta del nostro esperto, lo psicoterapeuta Fabrizio Fantoni.-

Alberto è un normalissimo ragazzo di 14 anni. Suona la batteria, è socievole, frequenta l’oratorio, a scuola va mediamente bene. Se non che ha delle paure che ci risultano strane per la sua età. Spesso viene di notte nel lettone, perché si sveglia e dice di avere paura, ma non si sa di che cosa. Non vuole stare a casa da solo. La mamma arriva a casa dal lavoro prima che lui rientri da scuola. Se qualche volta ritarda, Alberto si agita tantissimo. Per il resto, non ha particolari ansie, né per le verifiche, né se deve suonare in pubblico oppure se deve stare via da casa, per esempio con l’oratorio, anche se magari non conosce nessuno.
Guido

— Apparentemente incongrua e quindi incomprensibile, l’angoscia di Alberto sembra andare a cogliere un passaggio cruciale nella crescita in fase adolescenziale: la separazione dalle figure di riferimento infantili, cioè i genitori. È l’angoscia connessa alla fine della protezione sicura da parte loro, di cui il ragazzo ha goduto fino a qualche anno fa.
Durante il giorno, fuori casa, Alberto appare autonomo, maturo, impegnato. La notte invece, quando nel sonno si perdono le difese diurne e ci si abbandona a stati mentali più arcaici, come quelli che compaiono nelle strane vicende dei sogni, ecco che compare un’altra parte di Alberto: quella del bambino che cerca la madre. La stessa paura che lo coglie quando l’appuntamento del ritorno dal lavoro della mamma subisce un ritardo e affiora il rischio di restare solo al mondo. Eppure Alberto sa badare a sé stesso, e lo dimostra nelle sfide che affronta.
E allora, perché questi rigurgiti di paura senza nome? Forse perché questa angoscia è l’altro lato dell’emancipazione dal mondo infantile. Un’autonomia voluta e goduta, difesa dal controllo dei genitori, e ribadita nella ricchezza di esperienze: scuola, oratorio, musica. Ma che, sul rovescio della medaglia, porta anche altro. Per esempio, fare i conti con la solitudine: non quella che si supera con un messaggio su WhatsApp o un’uscita con gli amici, ma quella più profonda, esistenziale, che un ragazzo sensibile come Alberto può percepire.
Nasce un oscuro timore di non farcela da solo, senza però voler chiedere aiuto a nessuno. Un ragazzo attivo ha tante belle cose da fare, ma sa anche di avere risorse fisiche e mentali che non sono ancora pienamente sviluppate. Occorre allora aiutarlo a esprimere il suo desiderio di autonomia, ma anche i suoi timori più nascosti, dandogli anche del tempo per fare i conti con sé stesso. È pure necessario che riconosca di avere dei limiti, per cui ha bisogno di qualcuno che lo capisca e lo sostenga. Non più solo i genitori, ma anche gli altri educatori e qualche amico più profondo.
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 20 gennaio 2018

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