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CAV - Centro di Accoglienza alla Vita Vogherese ODV

Via Mentana n. 43
27058 Voghera (PV)
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di Giuseppe Matarazzo
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 10 maggio 2023

Il capo della squadra Mobile, Cali: su Internet si formano bande violente che poi si sciolgono. Ma la città non è il Bronx. Don Burgio: molti ragazzi sono analfabeti emotivi e hanno una sofferenza.-

Baby gang - Fotogramma

Si dice e si scrive baby gang, in realtà si legge altro. C’è un universo molto più variegato e complesso dietro quell’etichetta che da qualche anno ormai, soprattutto dopo le violenze del Capodanno 2022 in piazza Duomo, a Milano, dopo la pandemia, è sinonimo di insicurezza in città, di devianza giovanile.

«Parlerei più in generale di disagio giovanile profondo e diffuso, in continua evoluzione – evidenza il capo della Squadra mobile di Milano, Marco Calì -. E che si sviluppa ben oltre le baby gang organizzate con riti e simbologie ben specifiche, che possiamo contare in una trentina in città. Ma è di tantissimi gruppi fluidi, non organizzati, di ragazzi che si incontrano nei social, e che anche occasionalmente manifestano comportamenti antisociali, di mala-movida, condotte illecite. Come le rapine compiute ai danni di vittime occasionali anche loro, senza avere la consapevolezza del dis-valore di quello che stanno facendo, senza rendersi conto che si sta compiendo un reato. Anche grave.

Un fenomeno generazionale dunque, che preoccupa e che va oltre le baby gang. Che ci sono e sono strutturate e organizzate, con una fortissima identità di appartenenza, legata a un territorio, al cap, al municipio, all’etnia o alla musica, rap e trap in particolare, che viaggia dai social alle strade». Il dirigente della Polizia presenta questo quadro all’interno del convegno “Disagio giovanile e baby gang” promosso da Famiglia Cristiana in collaborazione con Ucsi Lombardia. «Ci sono tante tipologie di baby gang, e si muovono nel disagio economico, di quartieri difficili, ma anche fra ragazzi di buona famiglia.

Un fenomeno davvero trasversale, che assume contorni diversi. Per questo è espressione di un disagio generazionale. Ma guardando a questo fenomeno e a come sia esploso almeno nell’immaginario e nei media, mi chiedo se si tratta davvero di un’emergenza nuova o siamo noi media, etichettandolo, a dargli forza?», lancia la provocazione il giornalista di Famiglia Cristiana Eugenio Arcidiacono, autore di Baby Gang. Viaggio nella violenza giovanile italiana (San Paolo), trovando in tutte le realtà studiate «senso di appartenenza, la forza del gruppo, la necessità di mettere tutto nella pizza dei social». Ma anche «la fragilità di questi ragazzi incontrati nelle comunità», che dopo i primi atteggiamenti di «strafottenza e di sfida verso gli adulti poi si scoprono deboli, fragili e chiedono aiuto».

Di certo sui media il fenomeno nei termini di baby gang è esploso in maniera evidente. Come rileva il pedagogo dell’Università Cattolica, Stefano Pasta, leggendo i dati di Google News, se nel 2019 gli articoli dedicati erano stati 932 e 741 nel 2020, si è passati ai 1249 del 2021 e ai 1909 nei soli primi quattro mesi del 2022. «C’è una percezione del problema, fra letture a volte semplificate che non aiutano a inquadrarlo nella sua complessità – evidenzia Pasta –. Per questo è necessario approfondire, distinguere, cogliere le ragioni sociali nell’eterogeneità del fenomeno. Capire sulla scia di Danilo Dolci: “Sognando gli altri come ora non sono, ciascuno cresce solo se sognato”».

Su questa dimensione sociale si sofferma don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorale Beccaria di Milano e animatore della Comunità Kairos di Vimodrone, che ogni giorno incontra sulla strada e dietro le mura del carcere questi giovani: «Sono ragazzi analfabeti a livello emotivo, che non sanno cos’è l’empatia, non sentono il dolore dell’altro e neanche il loro. Si portano dietro una sofferenza che pensano di risolvere con droghe, psicofarmaci e comportamenti antisociali, senza alcun riconoscimento dell’autorità. Cosa fare? Partire dal dialogo, dalla testimonianza di adulti credibili, dalla fiducia».

Purtroppo anche «il carcere non riesce, da anni, a essere un’opportunità di riscatto come dovrebbe. Resta più punitivo che rieducativo. L’ideale è sempre scongiurare che si arrivi qui. Il lavoro va fatto prima. Va fatto nella società, a scuola, nelle famiglie, che spesso non ci sono».

Don Burgio riporta l’esperienza di San Siro, accreditandosi fra i ragazzi grazie a un rapper che aveva conosciuto al Beccaria. «Quando ho chiesto a questi ragazzi i loro desideri per stare bene lì dove sono, la prima risposta è stata: un campo da calcio. Paradossalmente a San Siro, dove c’è il tempio del calcio, non c’è un campo accessibile per loro. E il campo diventa via Zamagna, sull’asfalto, quartier generale del disagio».

Lo sguardo sul disagio giovanile diventa uno sguardo su Milano e quello che deve essere. «Mentre si investe in palazzi grandiosi - dice don Burgio - crescono le sacche di povertà. E allora perché non investire su scuole, quartieri difficili, giovani, in cultura ed educazione. Se c’è un’emergenza a Milano è questa. Una cultura sbagliata che sta penetrando fra i nostri ragazzi. Serve una rivoluzione culturale che riguarda tutti, il nostro senso civico, il prendersi cura dei nostri ragazzi». Controllo e repressione – riprende Calì – sono «nel Dna delle forze dell’ordine, ma la differenza si fa con la prevenzione. Milano non ha un problema di sicurezza pi di altre città. Non è il Bronx. La sfida è educare i nostri ragazzi. Che sono il nostro futuro».

da www.bambinopoli.it
@Riproduzione Riservata del 14 aprile 2023

Se i bambini appaiono stanchi, apatici, svogliati. Se si trascinano annoiati dal letto al divano e viceversa e sembrano aver perso il loro slancio vitale, prima di preoccuparvi, date la colpa alla primavera!.-

Lo chiamano 'mal di primavera' e per quanto possa sembrare assurdo, colpisce circa 2 milioni di persone che, proprio durante la bella stagione, vengono colpite da una sorta di apatia. Come se l'arrivo del caldo, l'allungarsi delle giornate, l'aumento delle ore di luce, si portassero dietro, come conseguenza diretta, stanchezza, spossatezza costante, cattivo umore, ansia.
I bambini ne sono spesso vittima e non è difficile, in questi primi mesi caldi, trovarli svogliati, assenti.

Da cosa dipende?
E' difficile dirlo e i fattori possono essere molteplici.
In linea di massima, però, le cause principali, escluse patologie più gravi, vanno ricercate in una carenza vitaminica che mette a dura prova la ripresa dell'organismo e la sua capacità di adattarsi ai cambiamenti climatici.

In particolare:

  • La vitamina B è indispensabile per la trasformazione dei cibi in energia e per la loro assimilazione. Inoltre, regola le funzioni del sistema nervoso, del cuore e dei muscoli e mantiene sane le membrane (vitamina B1); la vitamina B2 potrebbe correre in soccorso degli sportivi e di coloro che svolgono quotidianamente un’attività fisica.
  • La vitamina C fortifica le difese immunitarie, facilita l’assorbimento del ferro e consente una corretta formazione del tessuto osseo e cutaneo.
  • La vitamina D è indispensabile per l’assorbimento del calcio e del fosforo e per aiutare la crescita delle ossa. Può essere utile soprattutto ai bambini che hanno trascorso l’inverno nelle città buie e inquinate, senza avere la possibilità di beneficiare degli effetti positivi dei raggi del sole.
  • Tra i sali minerali, calcio e ferro non devono assolutamente venire meno in questo periodo per favorire il corretto svolgimento della sintesi delle proteine.

CHE FARE?
Innanzitutto, come regola generale, soprattutto con bambini in età prescolare, è sempre bene fissare una visita pediatrica per un controllo generale e una valutazione della crescita e dello stato di salute del piccolo.
La visita potrà anche essere funzionale e far richiesta, eventualmente, di un integratore multivitaminico.
Quindi, adattandosi ai nuovi orari e ritmi e all'allungarsi delle giornate, è bene, comunque, dare un ordine alla vita dei bimbi, abituandoli a mangiare e andare a dormire sempre allo stesso orario.
Un sonno regolare, una dieta sana ed equilibrata a base di frutta e verdura di stagione, tanta attività all'aria aperta, faranno il resto.

di Natalia Piemontese

da www.trend-online.com
@Riproduzione Riservata del 29 marzo 2023

Chi ha figli tra 11 e 14 anni lo sa bene. Botta e risposta continuo, si alza la voce, litigi per nulla. Come comportarsi con un figlio ribelle?.-

Chi ha un figlio di età compresa tra 11 e 14 anni lo sa bene. In casa sembra di avere a volte uno sconosciuto, che usa l’abitazione come un albergo, non vuole che si tocchino le sue cose ma prende, usa e getta a piacimento quelle degli altri.

Insomma, un figlio ribelle: ma come comportarsi?

Se fino all’ingresso alle scuole medie si ha ancora a che fare con un dolce bambino (o dolce bambina), da questo momento in poi la trasformazione verso la versione adulta di quel cucciolo ha inizio.

Botta e risposta continuo, alza la voce, scatta per nulla, si chiude nella sua stanza e si trasforma nell’essere più simpatico e sorridente del mondo con gli amici.

Certo che però a volte in casa l’aria è davvero irrespirabile. Come comportarsi con un figlio ribelle?

Ecco i consigli dello psicoterapeuta.

Come comportarsi con i figli ribelli

I consigli che qui di seguito riportiamo arrivano dal dott. Alberto Pellai, medico, psicoterapeu­ta dell'età evolutiva, ricercatore presso il dipartimento di scienze bio­mediche dell'Università degli Studi di Milano.

Innanzitutto, bisogna accettare che questo tipo di comportamento sia fisiologico. È legato al passaggio che il proprio figlio vive tra il bambino che si lascia alle spalle e l’adolescente che si affaccerà alla vita adulta.

Se fino ai 10 anni è ancora relativamente semplice gestire il suo comportamento (anche il modo di vestire, per esempio) e il bambino è ancora “incollato” alla mamma, dopo questa soglia di età, il preadolescente inizia ad affermare la propria personalità, senza più essere in linea con le aspettative dei genitori.

Ovviamente però non ha ancora la maturità giusta per rapportarsi con l’altro, soprattutto con un genitore, quindi usa i mezzi che ha a disposizione, in maniera un po’ maldestra, per così dire.

Chiude la porta della camera, appende cartelli “Do not disturb”, insomma vuole essere lasciato in pace.

Oppure provoca il genitore dicendo che ha preferenze con l’altro figlio. In questo caso, è importante ricordare che tale atteggiamento non ha nulla a che vedere con l’affetto che nutre per i genitori o il fratello o sorella.

Meglio mantenere la calma e spiegare che le esigenze da gestire sono diverse, soprattutto quando ci sono differenze di età.

Cosa fare con figli aggressivi

Se ad esempio la discussione diventa accesa, il genitore (che ricordiamo è l’unico adulto della situazione) non deve continuare nella contesa. Deve restare pacato e dire al figlio di andare in camera sua oppure è il genitore a uscire dalla stanza.

Bisogna far capire che si è aperti al dialogo e all’ascolto, ma non disposti a farsi insultare o gridare in faccia.

Purtroppo la vera piaga dei figli adolescenti o preadolescenti sono i genitori “amici”.

Il padre che con fare amichevole invita il figlio a bere una birra o fuma con lui una sigaretta per “rilassarsi”. Accettare un linguaggio scurrile perché tanto è così che fanno i giovani oggi. E via di seguito. Alla prima parolaccia, il figlio deve capire immediatamente che è un errore e una mancanza di rispetto nei confronti dell’altro.

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Ovviamente questo sottinteso “patto di non aggressività” deve essere reciproco. Il genitore non deve sentirsi autorizzato a gridare e insultare, solo in quanto “più grande”.

Il rispetto si impara da chi lo pratica, non da chi lo predica.

E soprattutto, attenzione a non impartire punizioni “restrittive”. Un classico oggigiorno, se il figlio non si comporta bene, è privarlo del cellulare. Questo non fa altro che aumentare la rabbia nei confronti del genitore, tra l’altro perché il ragazzo non può nemmeno sfogarsi con gli amici.

Le punizioni devono far parte dell’educazione del proprio figlio, ma in quanto “aggiuntive” e quindi che aumentano le responsabilità. Ad esempio, per una settimana dovrà occuparsi in esclusiva della cura del cane oppure apparecchiare e lavare i piatti.

Solitamente, quando sbollisce la rabbia, il figlio torna a essere quello che conosciamo. Ecco, in questo momento, bisogna mostrarsi aperti al dialogo e assolutamente non ritornare sull’episodio con paternali o peggio la richiesta di scuse reverenziali -assolutamente ipocrite e fini a se stesse- nei propri confronti.

Come comportarsi con un figlio che non ti rispetta

Mantenere ferma e stabile la propria figura di genitore è fondamentale per la crescita stessa del proprio figlio.

È chiaro che dire di sì o lasciar correre è una strada in discesa, rispetto a quella che invece prevede molti no sul proprio percorso.

Ma evitare l’atteggiamento amichevole consente anche di mantenere autorevolezza nel momento in cui si dovrà dire per forza no a una richiesta, da parte del figlio, che appare decisamente eccessiva.

Una volta definiti gli spazi di libertà da concedere (ad esempio l’uscita in comitiva il sabato), l’autonomia si concede per le ore pomeridiane, ma il no arriva nel momento in cui il figlio vuole rimanere fuori fino alle 22-23 già a quell’età.

È ovvio che al no del genitore seguirà sempre la ribellione del figlio. Le frasi tipiche che sentiremo sono quelle che riguardano il nostro ruolo, perché siamo i peggiori genitori del mondo e lui non si sente capito.

Anche in questo caso, non bisogna cedere al ricatto e ritornare sui propri passi. È un atteggiamento che indebolisce l’autorevolezza del genitore, che deve avere le idee chiare e non gridare più del figlio.

Il classico “Tu non mi capisci” mette in crisi i genitori, che temono di non essere un punto di riferimento e che il figlio vada a cercarlo altrove.

Cosa fare in questo momento? Sicuramente non chiudere la discussione con “basta, io sono tuo padre e si fa così”. L’atteggiamento giusto invece è chiedere al ragazzo perché non si sente capito, cosa invece avrebbe voluto sentirsi dire, in un momento così.

E a volte, con grande sorpresa dei genitori, alla fine i figli non insistono neppure più di tanto. Infatti accade che, pur sapendo che la richiesta è esagerata, inconsciamente sono portati a difendere comunque la propria posizione ma, dentro di loro, si sentono sollevati da avere di fronte un genitore “adulto” che sa sempre cosa è meglio fare per loro.

di Francesca Romana Macrì

da www.tag24.it
@Riproduzione Riservata Gennaio 2023

Nell’ultimo periodo sentiamo sempre più le parole Boomer o Millennial in associazione ad una persona nata in un determinato periodo storico . Quante volte vi è stato detto o avete sentire dire “Questo comportamento è da Boomer” , “Sembri un boomer” . Ebbene “l’essere un boomer” è quasi diventata una vera e propria categoria antropologica. Il termine “boomer” è utilizzato dalle generazioni dei nati a cavallo tra il secondo e il terzo millennio per indicare una generazione portatrice di modi di pensare e agire conservatori, superati e perfino nocivi e con comportamenti rispetto alla tecnologia non al passo con i tempi .

Quando si è Millennials o Boomer ?

Vi state chiedendo se siete dei Boomer o dei Millennials? Parliamo di “Boomer” in relazione ai nati durante il periodo del Boom economico tra il 1946 e il 1964, mentre vengono indicati come Millennials o generazione Y i nati tra il 1981 e il 1996. Ma qualora foste nati 1997 e il 2012? In quel caso si parla di generazione Z. Queste sono generazioni quotidianamente a confronto, Padri e figli, a volte in contrasto e tra le quali molto spesso sembra che ci sia un mare, relativo a esperienze e vissuti, a dividerli. Molto spesso anche se in maniera diversa, dati periodi storici e risorse, sono più vicini di quanto si possa pensare.

Sembri un Boomer!

Quando è che si adottano degli atteggiamenti o comportamenti propri da “Boomer”, e come riconoscerli? Andiamo con il primo: Non capire i meme , quante volte vi è capitato di mostrare a persone adulte un meme tratto dai social network, ma loro davanti a questo non ne hanno capito senso e riferimento ? la spiegazione : metodi di comunicazione differenti . Selfie dall’alto : Quante volte vi è successo di vedere selfie di persone adulte con telefono puntato in alto ? Occhiali da sole , luoghi insoliti e il gioco è fatto . D’altro canto essere Boomer è anche una virtù!.

Già dirigente scuola superiore e già presidente del Movimento Politico per l’Unità in Italia. Coordinatore Alfa-Terzo Settore, collaboratore Citesec-Unimc

da www.citttànuova.it
@Riproduzione Riservata del 06 marzo 2023

Intervista ad Anna D'Auria, presidente nazionale del Mce (Movimento di cooperazione educativa) sui fondamenti pedagogici del movimento - a partire dalle sue due figure di riferimento Mario Lodi e Bruno Ciari - e sulle proposte oggi in atto per contrastare le povertà educative e la dispersione scolastica. Nel costante impegno per un rinnovamento della didattica nell'ottica dell'affermazione di una pedagogia popolare e della costruzione di una scuola sempre più pubblica e democratica.-

Anna D’Auria è presidente nazionale del Movimento di cooperazione educativa (Mec): una realtà nata il 4 novembre 1951 a Fano nell’abitazione della maestra Anna Marcucci Fantini, e che riunisce insegnanti, pedagogisti ed educatori che si ispirano alla pedagogia popolare dell’insegnante francese Célestin Freinet. Ci facciamo spiegare direttamente da lei le origini e l’opera del Mec e le proposte attuali che da esso nascono.

Quali sono i fondamenti pedagogici e sociali del Movimento di cooperazione educativa?

Il Movimento di cooperazione educativa è stato fondato nel 1951 da un gruppo di educatori, insegnanti, pedagogisti che riconoscevano alla scuola una precisa funzione sociale di emancipazione, alla cui base c’era l’individuazione forte del nesso tra democrazia ed educazione, su cui aveva scritto J. Dewey nel 1916. Pensavano che fosse compito della scuola lottare contro la povertà culturale e materiale, proponendo un’educazione laica, attenta alle diversità, capace di riconoscere i bisogni e la cultura di ogni bambino e la dignità dell’altro come condizioni imprescindibili per qualsiasi educazione alla cittadinanza, nella comune convinzione, che i problemi della pedagogia non possono essere separati da quelli politici, sociali, etici e che «trasformare i sudditi in cittadini è un miracolo che solo la scuola può compiere» (come diceva Calamandrei).

Animati da un forte fervore educativo, è a partire dall’infanzia che intendevano ricostruire socialmente e moralmente il Paese, uscito dal fascismo e dalla guerra, attraverso un’educazione concepita come primario strumento di progresso sociale e di pace e un ripensamento radicale del ruolo della scuola e degli insegnanti secondo le esigenze democratiche della Costituzione.

Alla base della proposta Mce l’esigenza di una psicopedagogia dell’infanzia e dell’adolescenza da mettere al centro dell’azione educativa; di un insegnamento individualizzato e organico sia rispetto ai contenuti funzionali allo sviluppo armonico della personalità di ogni soggetto, sia rispetto all’esigenza di un lavoro interconnesso: tra bambini/studenti e insegnanti, tra scuola e ambiente sociale; l’attenzione all’autonomia e allo sviluppo di uno spirito critico a partire dal riconoscere la dignità culturale di ognuno, oggi fondamentale per lavorare in un orizzonte pedagogico intenzionalmente interculturale; l’operatività e il ruolo del corpo come base fondante per imparare agendo; il rifiuto di pratiche didattiche autoritarie e l’organizzazione cooperativa della classe «per permettere ad ognuno di diventare membro cosciente di un collettivo nel quale, per non perdersi, la sua individualità risulta sublimata nella conquista di un valore superiore che dà al ragazzo coscienza sociale, senso di responsabilità, capacità critica, spirito di solidarietà, in una parola maturità umana» (come afferma G. Tamagnini).

I pionieri del Mce, in un Paese in cui dominava autarchia pedagogica, si ispirarono alla Pedagogia Popolare di Celéstin Freinet e avviarono, sin dagli esordi, un lavoro di riflessione e di ricerca sulle pratiche didattiche da lui proposte: il metodo naturale, il testo libero, la biblioteca di classe, la corrispondenza, il calcolo vivente, il piano di lavoro, l’assemblea di classe, per citarne alcune, il cui presupposto è il rifiuto di un insegnamento direttivo, uguale per tutti, in uno spazio aula organizzato come blocco unico.

Quale contributo hanno dato Mario Lodi e Bruno Ciari al rinnovamento della scuola italiana? 

Mario Lodi e Bruno Ciari sono stati, e restano ancor oggi, un riferimento fondante per la riflessione pedagogica e per l’orientamento alle politiche scolastiche.

La loro esperienza, il loro impegno culturale e pedagogico hanno dato un contributo straordinario nel tracciare la strada all’innovazione pedagogica e alla costruzione di una visione condivisa del compito repubblicano del sistema scolastico. Ciò in particolare nella fase delle grandi riforme della scuola: istituzione della scuola materna, della scuola media dell’obbligo, del tempo pieno, l’integrazione con la chiusura delle istituzioni segreganti, la L.517 che introduce le classi aperte, l’abolizione del voto e la valutazione formativa, la programmazione didattica. Riforme che Ciari non ha visto tutte realizzate perché precocemente scomparso nel 1970.

La loro attività di ricerca didattica, riflessione pedagogica e la grande opera di documentazione della loro esperienza di insegnamento nelle classi di Piadena e Certaldo continuano, a decenni di distanza, a far crescere in diverse generazioni di insegnanti la consapevolezza che la leva principale del cambiamento per una scuola emancipatrice è una didattica capace di modificare “materialmente” l’organizzazione concreta del lavoro in classe. Perché il modo in cui si realizza la relazione insegnamento apprendimento porta in sé una precisa visione e concezione del mondo, del rapporto tra i soggetti, tra i saperi e le discipline e ha un forte potere simbolico, facendosi implicitamente curricolo. Pensiamo oggi all’educazione civica e alla cittadinanza in una scuola in cui infanzia e adolescenza non hanno la possibilità di sperimentare spazi di parola, di partecipazione, di responsabilità; dove a prevalere è un clima competitivo e l’insegnamento si accontenta di risposte corrette più che promuovere nei soggetti vera comprensione, pensiero riflessivo, spirito critico, apertura all’incontro con l’altro, pratiche di autovalutazione.

Nella proposta pedagogico-didattica di Lodi e Ciari, come di tutto il Mce, sono centrali le tecniche didattiche cooperative che «… attuano una serie di valori umani che il fanciullo non possiede in sé e che può assimilare non per il fatto di adoperare un complessino tipografico, ma col realizzare un complesso di rapporti sociali che implicano una determinata concezione del mondo». (nella parole di B. Ciari).

Sono pratiche del fare scuola che rompono con le modalità di insegnamento/apprendimento trasmissive (ancora troppo diffuse nella scuola italiana), centrate unicamente sul circuito lezione frontale-libro-verifica-voto, sul lavoro individuale, ma anche sulle porte e cancelli chiusi di aule e edifici e documentano come la scuola e la classe possono diventare la prima significativa esperienza sociale di costruzione e sperimentazione di un collettivo dove costruire, sin da piccoli, in modo organizzato e rigoroso, la democrazia con la democrazia.

Il loro lavoro di insegnanti, ma anche di amministratori locali, mostra come sia possibile cambiare le cose lavorando a mutamenti fattibili nelle condizioni date con pragmatismo, sperimentalismo, spirito di ricerca, nella consapevolezza che, indipendentemente da interventi burocratico amministrativi, si possa costruire dal basso, nuove forme di convivenza civile a partire dalla scuola e dal sociale.

Lodi nel Paese sbagliato scriveva «Ciò che siamo si rivela subito il primo giorno, quando di fronte ai bambini devi decidere come impostare il tuo lavoro: per asservire o liberare». Fondamentale per lui l’impegno a spiegare e far praticare la Costituzione «…per imparare a usare la vera politica, fatta da persone elette perché oneste e competenti, che sono al servizio del popolo e credono nei grandi ideali che hanno fatto la storia dell’umanità».

Bruno Ciari ha dato un forte impulso alla crescita della consapevolezza che la responsabilità educativa va condivisa, richiamando a un agire cooperativo le istituzioni comunali, gli insegnanti, i genitori, le formazioni sociali, la società civile. Negli anni in cui è stato direttore dei servizi educativi nel comune di Bologna, riuscì a fare della città un laboratorio pedagogico e sociale.

«Gli specialisti devono proiettarsi al di fuori del guscio rigido dell’aula o del loro settore d’impegno, la società deve penetrare nel sacrario dell’educazione, con pieno diritto. Non più porte chiuse, non più saracinesche abbassate» (sono sempre parole di B. Ciari)

Oggi, in un tempo in cui prevalgono povertà educative, dispersione e abbandoni, dove c’è guerra e la stessa democrazia è a rischio, ripercorrere il loro pensiero, il loro esempio di maestri per una scuola capace di rimuovere gli ostacoli, come è stato fatto nel 2022 nel centenario della nascita di Mario Lodi e si farà nel 2023 per quello di Bruno Ciari e di Don Lorenzo Milani è un monito e un’occasione per rinforzare la convinzione che insegnanti, educatori e quanti sono impegnati nel compito educativo, possono lavorare per produrre una trasformazione dal basso, vivendo la scuola, il territorio come strumenti attivi di crescita collettiva e di cultura alternativa per contrapporre all’individualismo la cooperazione, agli egoismi la solidarietà, agli etnocentrismi e nazionalismi la consapevolezza di appartenere alla stessa comunità di destino.

Quali sono le proposte del Mce per contrastare oggi le povertà educative e la grave dispersione scolastica?

È da tempo che i dati che emergono da indagini nazionali e internazionali non solo confermano che la scuola italiana, che dovrebbe essere anche dei capaci e dei meritevoli privi di mezzi, la maggior parte delle volte, piuttosto che metterle in crisi, sembra invece confermare le strutture di classe, e che una quota sempre più rilevante di bambini e di giovani restano confinati nelle periferie sociali, educative, emotive con grave perdita di potenziale di cittadinanza attiva e consapevole.

Di fronte alle nuove forme di esclusione sociale e culturale, ai nuovi analfabetismi non sono cambiate le motivazioni per le quali, il Mce è impegnato per una scuola come laboratorio sociale, luogo in cui si vivono e si apprendono le pratiche della democrazia, vengono liberate le intelligenze, le creatività e a ognuno, indipendentemente dalle condizioni sociali e culturali di partenza, vengono garantite le condizioni per esprimere e sviluppare tutte le sue potenzialità.

La leva principale in questa direzione è puntare alla costruzione di nuovo rapporto tra politica e scuola, tra politica e società civile, investendo di più sulla partecipazione, costruzione e valorizzazione dello spazio collettivo (tra l’altro spazio necessario a legittimare la stessa azione politica) per sollecitare responsabilità educativa diffusa.

Le autonomie presenti su un territorio, scuola ed Ente locale devono poter essere i protagonisti dell’impostazione e della strutturazione delle coordinate in cui progettare le azioni collettive necessarie al cambiamento. Ma serve mettere mano, e con coraggio, a un ripensamento complessivo del modello di scuola, di governo del territorio, di partecipazione per il superamento delle disuguaglianze e per realizzare più democrazia nel Paese. Senza una visione complessiva è infatti grande il rischio di rispondere alla crisi del sistema scolastico e alle povertà educative in una logica emergenziale che non sarà in grado di produrre i cambiamenti necessari a eliminare le condizioni strutturali che determinano l’insorgere di dispersione e abbandoni e il permanere di forti disuguaglianze nel riconoscimento dei diritti per infanzia e adolescenza sanciti dalla Convenzione Onu, ratificata in Italia nel 1991 con la legge n. 176.

I patti territoriali continuano a rappresentare l’orizzonte di senso per un progetto di scuola democratica, inclusiva, equa e a cui hanno lavorato negli anni 70 tanti maestri, pedagogisti Mce.

La formazione dei futuri cittadini riguarda tutta la società e l’alleanza strutturata tra Scuole, Comuni, associazioni, famiglie, studenti permetterebbe di porre al centro delle politiche educative i principi di solidarietà e di responsabilità che sono alla base del rapporto individuo-società a fondamento della nostra democrazia.

Occorre però costruire luoghi di partecipazione a livello territoriale per individuare e ragionare sui bisogni educativi dei minori, su quelli della scuola, del territorio; per attivare e valorizzare le risorse in campo e progettare azioni collettive in grado di sostenere il progetto di vita di ciascuno. Si tratta di istituire a livello locale un ‘patto sociale’ per fare dei processi relazionali tra gli individui, tra formazioni sociali e tra questi e le autonomie istituzionali del territorio una base per le trasformazioni sociali ed educative necessarie al Paese. Ciò richiede però, accanto a una diversa politica di governo dei territori dotando gli Enti Locali di risorse certe, strutturali, definendo chiaramente gli obblighi a cui sono chiamati per la cura dei soggetti e la garanzia del diritto allo studio, una diversa politica scolastica.

La scuola va messa in grado di presidiare la complessità della sua funzione modificandone le condizioni strutturali e pedagogiche: meno alunni per istituto e meno alunni per classe; garantire il tempo pieno su tutto il territorio nazionale (che non va confuso con l’apertura della scuola al territorio con attività pomeridiane); estendere l’obbligo scolastico e riformare gli ordinamenti, superare il precariato e aumentare gli organici; dotare gli insegnanti di un contratto di lavoro dignitoso. Soprattutto va rivisto il fare scuola per garantire al Paese la formazione di cittadini in grado di esprimere pensiero libero, capacità critica, coscienza di sé e del mondo; l’acquisizione di competenze per individuare i problemi del proprio tempo, accanto allo sviluppo di responsabilità e di un’etica pubblica per contribuire a risolverli in un contesto solidale.

Serve un ripensamento profondo della formazione iniziale e in servizio degli insegnanti, delle modalità di reclutamento, affinchè l’insegnamento possa focalizzarsi sul processo individuale di apprendimento per il successo formativo di ciascuno, sulla rimozione dei luoghi comuni regressivi che sono entrati nella cultura del Paese, sulla sperimentazione di una progettazione didattica capace di tenere insieme: soggetti, saperi, teoria e pratica, le esperienze scolastiche e quelle vissute nel contesto di vita, dalla famiglia al territorio.

Porre al centro del lavoro le interdipendenze dando spazio e valore al gruppo, alla didattica della ricerca e laboratoriale, a una valutazione formativa libera dal voto. Ciò non significa svuotare il compito formativo della scuola e delle discipline, ma porre al centro l’emancipazione dei soggetti e non i saperi in sé. Senza una formazione adeguata al mestiere, si corre il rischio che le misure previste dal Pnrr per ridurre abbandoni e dispersione resteranno per lo più a valle del problema e non sarà colta pienamente la possibilità di collaborare con nuove professionalità e dialogare con il territorio.

di Alessandra Graziottin
da www.il gazzettino.it

@Riproduzione Riservata del 09 gennaio 2023

Perché sentirsi amati, e amare, facilita la vita? Perché l'affetto tra genitori e figli, tra nonni e nipotini, tra amici sinceri, oltre che tra innamorati corrisposti, è il migliore antidoto contro la solitudine e il dolore di vivere? Perché, ammalati, si guarisce meglio e prima se si sente un affetto sincero vicino? E perché, a parità di patologia, il decorso è più aggressivo se la persona si sente sola?
Accanto ai molti effetti benefici di tipo psicoemotivo, l'affetto ricambiato agisce su mente e corpo attraverso affascinanti fattori biologici: fra questi, il più potente regista del potere curativo dell'amore si chiama ossitocina. E' un neuro-ormone, prodotto dal cervello, costituito da nove aminoacidi. E' molto antico, ben conservato nella scala evolutiva, perché svolge funzioni fondamentali per la sopravvivenza. Merita conoscerlo, in un'epoca in cui pur essendo iperconnessi ci sentiamo sempre più soli, più tristi e più depressi: quanta salute stiamo perdendo (anche) per l'esasperazione della vita digitale a scapito della vita reale?
Ossitocina deriva dal greco, e significa parto rapido: la sua prima funzione scoperta fu lo stimolo delle contrazioni della parete uterina al termine della gravidanza, per facilitare il parto. In seguito, emerse che l'ossitocina aumenta nel sangue di mamma e bambino durante l'allattamento al seno: facilita così il legame di attaccamento affettivo reciproco, tra la mamma e il suo piccolo, perché scrive nel cervello di entrambi, a ogni poppata, chi è la persona che li rende felici. L'ossitocina attiva infatti il sistema di ricompensa, e fa percepire una profonda gratificazione in risposta a un comportamento che dà gioia e affetto.
L'ossitocina aumenta nel sangue e nel cervello quando ci si regala un abbraccio desiderato, quando ci si abbandona a una carezza sognata, quando si fa l'amore. E' l'ormone che sale quando si formano le coppie, ed è più alta e stabile negli animali monogami (che sono il 3% del totale delle specie). Oltre alla riproduzione, l'ossitocina agisce sul comportamento sociale, con funzioni che si intrecciano, potenziando l'energia vitale, la salute, la capacità di resistere in modo costruttivo allo stress: la capacità di resilienza, che aiuta a guarire anche dopo una malattia.
L'ossitocina si presenta sempre più come una vera medicina naturale, gentile ed efficace, attiva sul corpo e sullo spirito. Come fa? Ha potenti capacità antinfiammatorie: così facendo potenzia la capacità dell'infiammazione fisiologica di risolvere (resolving) il fattore lesivo o il danno in corso, riducendo la probabilità che essa diventi patologica, incapace di riparare i danni che l'organismo subisce, e per questo a-finalizzata, non-resolving e cronica. E' questo il denominatore comune di tutte le patologie, prima acute e poi croniche. Ha un effetto protettivo nei confronti delle avversità della vita, fisiche ed emotive, e dei traumi. Influenza sia il sistema immunitario, sia il sistema nervoso autonomo, che governa i processi fondamentali dell'esistenza.
E' diventata quindi oggetto di intense ricerche, per valutarne il potenziale ruolo come farmaco. Ruolo invece nient'affatto semplice, perché ha proprietà chimiche peculiari e sfuggenti. Per esempio, è molto attiva, reagisce rapidamente con altre molecole, fra cui la vasopressina, più antica e a cui somiglia, con effetti che cambiano in relazione al contesto. In più, ha recettori molto condizionati dalle prime esperienze vissute nella vita. Fatti che la rendono sfuggente sul fronte dell'uso come farmaco.
E allora? Visto che tutti preferiremmo terapie naturali, perché non valorizzare quei comportamenti che la aumentano naturalmente? Per i nostri bambini, più giochi di gruppo all'aria aperta, alla luce naturale, accrescono l'ossitocina e riducono ansia e disturbi di attenzione. Per gli adolescenti, è indispensabile incoraggiare la vita reale, limitando l'uso esasperato e solitario della vita digitale. Ottimo incoraggiare la cura di un animale domestico, un gatto o un cane, ma anche giocare con i pony, straordinari attivatori di rilascio di ossitocina e riduzione del cortisolo, ormone dello stress, con effetto ansiolitico, come dimostrano molti studi. Per gli anziani: non chiudetevi in casa! Premia la salute uscire tutte le mattine a camminare, meglio se con un coniuge o un amico/a. Ottimi i corsi di ballo, tutto quello che riattiva la liturgia del corteggiamento e attiva i sistemi di ricompensa e le molecole della gioia, attraverso il movimento e la musica in un contesto di amici. Quando si visita una persona malata è terapeutico tenerle la mano, abbracciarla, accarezzarla con rispetto, gentilezza e tenerezza, a seconda del grado di parentela e intimità. L'amica ossitocina ci aiuta a curare, se ci ricordiamo che un gesto d'amore è la prima terapia.

di Sabrina Vita
da www.bambinopoli.it
@Riproduzione Riservata del 07 dicembre 2022

Regali per tutti i gusti e tutte le tasche. Scegliendo un regalo solidale si puo' aiutare chi è in difficolta' e, nel proprio piccolo, fare la differenza.-

Spesso pensare ai regali da mettere sotto l'albero è molto impegnativo. Un regalo solidale è la scelta giusta per dare sostegno alle persone più povere e disagiate acquistando allo stesso tempo bellissimi regali di Natale.
Se questa idea può interessavi ecco delle idee per i regali solidali per Natale 2022.

Ecco qualche esempio:

AIRC
Dai più valore al tuo Natale, scegli di regalare gioia a chi ami e di sostenere la ricerca sui tumori che colpiscono bambini e adolescenti. Un gesto semplice ma altruistico, che ha dentro tutto il significato del Natale: la felicità di chi lo riceverà; la serenità di sostenere la ricerca; la fiducia in un futuro in cui il cancro sarà sempre più curabile; la speranza, per i bambini e le loro famiglie, di poter ricominciare a vivere i propri sogni. A Natale tutto è in un dono: scegli il tuo. www.airc.it

AMREF
Con I Regali Solidali di Amref migliorerai la vita di tanti bambini, donne e uomini in Africa, attraverso interventi indispensabili per la loro salute e il loro futuro. Scegli il progetto che vuoi sostenere, farai un regalo di solidarietà a te e ai tuoi cari..www.occasionidelcuore.amref.it

CESVI
Per Natale scegli tra le tante idee che CESVI ha pensato per te: puoi ordinare i tuoi regali di Natale solidali online, scegliendo tra accessori (borracce solidali, lunch box, tazze, tovagliette, candele), cartoleria (taccuini, pastelli a cera, set per colorare, matite da piantare), abbigliamento solidale, cosmetici naturali, piantine grasse e vino. www.cesvi.org

DYNAMO CAMP
Puoi sostenere Dynamo Camp attraverso i biglietti natalizi o con una donazione “sostitutiva” dei regali di Natale, che verrà testimoniata dalle lettere di Natale. Inoltre panettoni, candele, tazze, profumatori d'ambiente e molto altro.  Anche questo contribuirà a regalare una vacanza indimenticabile a un bambino malato! www.regalisolidali.dynamocamp.org

EMERGENCY
Sul sito Natale per Emergency puoi trovare tante idee regalo: borse, boreracce, bambole, orsetti, panettoni, creme, marmellate, cioccolato e molto altro. www.shop-emergency.it


FONDAZIONE RAVA

Con i doni solidali della Fondazione Francesca Rava aiuti tanti bambini in difficoltà in Italia e nel mondo. Insieme possiamo fare la differenza. www.donisolidali.noh-italia.org

LEGA DEL FILO D'ORO
i regali solidali e i Biglietti di Natale sono una scelta di cuore che offre la possibilità di rendere felici due persone: sia quella che riceve il sostegno sia che quella a cui il regalo solidale è diretto. www.legadelfilodoro.it

MANI TESE
Puoi donare una foresta di mangrovie per combattere gli effetti del riscaldamento globale là dove prima c’era una palude, oppure un pozzo per garantire acqua pulita dove regnava la sete, oppure ancora un orto sostenibile dove c’era solo terra arida.
Sono tante le vite che possiamo trasformare insieme colorandole di nuova speranza, quest’anno, a Natale.
Scegli il tuo dono solidale e aiutaci a dipingere un mondo più giusto. www.manitese.it

MAKE A WISH
Con i tuoi acquisti ci aiuti a portare forza e speranza nella vita dei bambini gravemente malati! Scegli di rendere speciali le tue occasioni importanti grazie ai regali solidali Make-A-Wish Italia: prodotti unici non solo perché di alta qualità, artigianali e confezionati con cura ma perché ognuno di essi contribuirà a realizzare i desideri del cuore di bambini che lottano contro gravi patologie. shop.makeawish.it/collections/natale

MEDICI SENZA FRONTIERE
Il tuo Regalo si trasformerà in Vaccini, Cibo e Cure Mediche: Rendi Unico il tuo Natale! A Natale scegli un Regalo Solidale di MSF: Festeggia con Noi, rendi Uniche le tue Feste! Ci sono borse, creme, magliette, zainetti, borracce, panettoni e anche una e-card animata (costo 20 euro) da mandare ad amici e parenti e attraverso la quali doni, per sesempio, a 24 bambini il vaccino contro il morbillo, malattia che in molti Paesi del mondo ancora uccide. www.medicisenzafrontiere.it

OXFAMAssociazione umanitaria presente in 98 paesi per compatere l'ingiustizia della povertà e cercare di migliorare le condizioni di vita di migliaia di persone dando loro risorse per provare a costruirsi un futuro migliore. Ecco qualche esempio di cosa regalare: una borsa baguette (44 euro), una collana (23 euro), set incensi (12 euro) o una tisana filosofica (5,90 euro). www.shopoxfam.it/

PANGEA ONLUS Scegli un regalo Pangea per Natale, il tuo gesto cambierà il mondo. Perché il tuo gesto si trasformerà davvero in supporto concreto alle donne afghane che non si arrendono e continuano a opporsi alla povertà e alle violazioni dei diritti da parte del governo talebano, alle donne indiane che lavorano duramente per realizzare i loro sogni e quelli dei loro figli alle donne e ai bambini che in Italia vivono una condizione di violenza domestica, perché possano ricostruirsi una vita libera e serena.È questa la magia che fa sorridere e dà la forza a migliaia di donne e bambini in Italia, Afghanistan e India: sapere che tu con Pangea non smetterai mai di star loro vicino, di aiutarle, di tendere loro la mano. Per questo un regalo Pangea rende più bello il Natale, perché rende più bello il mondo. www.pangeaonlus.org


SAVE THE CHILDREN
Propone 'La Lista dei Desideri' di Save the Children è piena di regali solidali disegnati per aiutare a cambiare le vite di tanti bambini in tutto il mondo. Qualche esempio: kit neonato - 24 euro, kit parto - 44 euro, 80 vaccinazioni contro morbillo, polmonite e altre malattie a - 36 euro.
www.savethechildren.it

SOS Villaggi dei Bambini - Casa Elisa

Organizzazione internazionale privata, apolitica e aconfessionale. È impegnata nell’accoglienza di bambini privi di cure genitoriali o temporaneamente allontanati dalle famiglie e nello sviluppo di programmi di prevenzione all’abbandono e di rafforzamento familiare in Italia e in altri 132 paesi e territori del mondo.  C'è una simpatica box SOS SWEET CHRISTMAS (30 euro) e molto altro
www.regali.sosvillaggideibambini.org

TREEDOM
Regala un albero. Raggiungi chiunque, in qualsiasi momento, con un pensiero che va dritto al cuore. Nessuna ansia da regali di natale, niente carta da pacchi che si accumula né spedizioni dell'ultimo minuto. A Natale, scegli un regalo sostenibile e regala un albero per il futuro.
www.treedom.net

UNICEF
Puoi acquistare un 'cesto salvavita' (da 19 euro) e dedicare a chi vuoi questo gesto di solidarietà con una E-Card o un biglietto personalizzato! Oppure acquistare l'anello di Natale (45€) con il quale donerai anche una terapia completa di alimenti terapeutici ad un bambino. 
www.unicef.it



WWF
È l'appello del Wwf, che propone di adottare, con tanto di certificato, un koala dalle fiamme.  I koala non hanno più una casa. Gli incendi dello scorso anno in Australia hanno distrutto 19 milioni di ettari di foreste e oltre 3 miliardi di animali sono stati uccisi dalle fiamme. Abbiamo già perso il 95% dei Koala! Entro il 2050 potrebbero scomparire per sempre. Ora i koala sopravvissuti non hanno più una casa. Delle foreste che li ospitavano è rimasta solo cenere. 
www.wwf.it

di Federica Beligni, Psicologa ad orientamento Sistemico-Relazionale

da www.unobravo.com
@Riproduzione Riservata

L’attesa di un figlio rappresenta una delle esperienze più significative ed emozionanti nella vita di una coppia. Questa fase in cui i partner si trovano in uno spazio liminale va ad alterare gli equilibri costruiti nel tempo e richiede una nuova ridefinizione di spazi e di regole all’interno del rapporto. Cosa accade quindi alla relazione? Quali cambiamenti deve affrontare la coppia in gravidanza?


I cambiamenti nella relazione di coppia

La gravidanza rappresenta un fenomeno complesso che coinvolge entrambi i partner: infatti è un evento emotivamente intenso non solo per la donna ed il suo corpo che pian piano si modifica, ma anche per l’uomo che si prepara a diventare padre. Ancora di più, va considerato come essa si realizzi all’interno di una relazione di coppia, ossia dall’incontro tra due mondi interni, due storie e due famiglie. Per tale ragione è opportuno parlare di coppia in gravidanza.

Diventare genitori segna una fase importante del ciclo vitale di una coppia e richiede ad entrambi i partner di:

  • ristrutturare la loro realtà interna ed esterna
  • riorganizzare la relazione di coppia
  • affrontare cambiamenti d’identità e di ruolo
  • compiere il passaggio evolutivo da figli a genitori e da coppia coniugale a coppia genitoriale.

La gravidanza infatti rappresenta per ciascun membro della coppia una sorta di ritualizzazione della relazione parentale vissuta nella propria famiglia d’origine: consente di rievocare sentimenti arcaici e di fare i conti con le aspettative, i bisogni ed i desideri del proprio sé infantile. Ciascuna delle due parti ha la possibilità di rivivere la propria infanzia e in un certo senso di riparare a quelle mancanze che sente di aver subito, a sua volta, nella relazione con i propri genitori.

Ciascuno deve confrontarsi con il proprio modello di madre e di padre, che deriva dalla relazione con il genitore dello stesso sesso ed acquisire una nuova identificazione: la donna con sua madre e l’uomo con suo padre. Talvolta da questi modelli è possibile ereditare anche paure che rappresentano un ostacolo in questa fase del ciclo di vita, come la tocofobia e la paura del parto.

Andare da uno psicologo consente ai neo genitori di rielaborare queste esperienze e interiorizzare una relazione più matura con i propri genitori per assumere il ruolo genitoriale verso il loro bambino.

Una crisi naturale e utile

Il processo di costruzione del ruolo di madre e di padre rappresenta anche un’esperienza di perdita, perché richiede ad entrambi di rinunciare ad essere esclusivamente figli.

I partner devono ridefinire i propri spazi per far posto al bambino nel sistema familiare e crearne uno, fisico ed emotivo, in cui accogliere il nuovo componente. È importante che essi riescano a superare questo momento di crisi di coppia che il periodo della gravidanza comporta, cercando di ristabilire un nuovo equilibrio che li conduca ad una crescita, piuttosto che ad una rottura del rapporto.

Spazio per il bambino e spazio per la coppia

Prima di nascere, il bambino deve trovare un luogo in cui poter vivere. Questo luogo è rappresentato in prima battuta dallo spazio mentale che i due genitori preparano durante la gravidanza per accogliere il nuovo arrivato. Il figlio atteso può essere accettato o rifiutato dalla coppia: questo dipende dal lavoro di accettazione che ognuno dei due ha compiuto verso quelle parti infantili ed inaspettate di sé e del partner.

Se l’arrivo del bambino avviene in un momento in cui all’interno della coppia sono presenti problematiche irrisolte, egli sarà chiamato a riempire il vuoto affettivo tra i due partner e la sua accettazione dipenderà dal grado in cui risulterà funzionale alle richieste dei genitori.

Se invece i due coniugi vivono un rapporto positivo, dato da un buon grado di differenziazione del sé, il figlio non verrà visto come un’estensione della coppia e gli sarà riconosciuto il ruolo di persona autonoma, con bisogni e desideri propri.

La coppia oltre il figlio

Il lavoro richiesto ai futuri genitori per la realizzazione di uno spazio fisico e mentale in cui accogliere il bambino, non deve però far dimenticare ai due partner di continuare a costruire ed alimentare, con lo stesso vigore, anche lo spazio di coppia. Se infatti la coppia dei coniugi si spegne, quella genitoriale da sola non sarà capace di crescere una famiglia sana o, usando le parole dello psicologo D. Winnicott, “sufficientemente buona”.

Il rischio è che la coppia incorra nella sindrome dei “coniugi in panchina”, andando a ricoprire il ruolo genitoriale a tempo pieno e che lo spazio genitore-figlio vada ad assorbire completamente o quasi, quello dei coniugi. È un loro bisogno coltivare questa dimensione, ma è un bisogno anche del figlio. Solo così si potrà garantire la salute ed il benessere psicofisico della famiglia e di ogni suo componente.

di Roberta Raviolo

da www.bimbisaniebelli.it
@Riproduzione Riservata del 08 settembre 2022

Incontrano coetanei, giocano, svolgono attività che li fanno crescere e non solo. Tra i vantaggi del nido per i bambini c’è anche un’alimentazione più sana di contrasto al sovrappeso.

Quando i genitori tornano al lavoro, si pone la necessità di affidare il piccolo a mani sicure. Le possibilità sono sostanzialmente tre: i nonni disponibili, la baby sitter o il nido. Secondo alcuni esperti, la scelta migliore è quella dell’asilo nido, che oltre a garantire cure e sicurezza assicura attività importanti per la crescita dei bambin. Tra i vantaggi del nido per i bambini ci sarebbe anche la possibilità di una alimentazione più equilibrata, a beneficio della salute.

Quali sono i benefici del mandare i bambini al nido?

La scelta della modalità cui affidare le cure di un bambino piccolo dipendono da molti fattori: le possibilità economiche, la vicinanza della struttura di accoglienza, la disponibilità dei nonni, la presenza di altri fratelli a casa e altro ancora. Indipendentemente da questo, però, rispetto allo stare a casa con i nonni e la baby sitter, frequentare un nido presenta alcuni benefici per la crescita e lo sviluppo cognitivo.
Alcuni vantaggi del nido per i bambini sono il fatto di interagire con i coetanei, sviluppando già nei primi anni di vita importanti abilità sociali. In più, stando insieme con gli altri i bambini imparano le prime regole del vivere in società, per esempio il rispetto per gli oggetti che sono di tutti, l’essere autonomi e così via. Inoltre le educatrici specializzate sanno proporre intrattenimenti e attività adatte ai più piccoli, che li coinvolgono e stimolano la loro crescita cognitiva. Infine, la frequenza del nido appiana le differenze sociali, etniche e culturali, garantendo a tutti le stesse possibilità.

Cosa mangiano i bambini all’asilo nido?

Un altro valido motivo per preferire il nido è che sembra che questa scelta influenzi in positivo anche le abitudini alimentari e quindi la salute presente e futura. Questa indicazione arriva da uno studio canadese, presentato durante il congresso annuale della Society of Nutrition. Gli autori hanno paragonato la crescita dei bambini tra i 4 e i 10 anni di Toronto che avevano frequentato il nido ed erano già alla scuola materna con la crescita di coetanei che avevano trascorso i primi anni di vita a casa con i nonni o la baby sitter. È emerso che il primo gruppo, quello dei bambini che erano andati al nido, aveva un indice di massa corporea più basso degli altri. In altre parole erano più snelli. Inoltre questi piccoli fino al raggiungimento dei dieci anni rischiavano meno di incorrere in sovrappeso e obesità.

Perché il nido fa bene i bambini?

Gli effetti positivi sulla salute iniziano nella prima infanzia e dipendono anche dagli ambienti in cui i bambini vivono.  E tra i vantaggi del nido per i bambini c’è anche quello di una dieta corretta, preparata secondo linee guida condivise da esperti della nutrizione infantile, cosa che avviene anche nel nostro Paese. I pasti sono cucinati rispettando l’apporto energetico per età, quindi né troppo né troppo poco. Inoltre sono vari, perché composti da diversi tipi di carni, cereali, verdure e pesce. In questo modo i bambini sono spinti ad assaggiare e ad apprezzare sapori diversi, anche per spirito di imitazione.

A casa, invece, tendono a mangiare spesso un po’ troppo e poi si tende ad assecondare le loro richieste, evitando di proporre quello che non apprezzano. Inoltre, al nido i bambini mediamente si muovono di più, tra il gioco attivo e le uscite in giardini e spazi in comune. A casa, invece, è più facile che i piccoli trascorrano più tempo davanti a tv e smartphone: anche questo aumenta il rischio di sovrappeso.

In sintesi

Perché mandare i bambini al nido?

Oltre ad essere un ambiente sicuro, i bambini ricevono stimoli cognitivi che in casa non sempre hanno, imparano a socializzare e divengono autonomi prima nell’occuparsi di se stessi a tavola e nell’uso del bagno.

Quanto può stare un bambino al nido?

Dipende dalle esigenze dei genitori: l’orario è di circa 8 ore che possono essere sfruttate completamente. Oppure è possibile lasciare il bambino per un tempo inferiore, solo al mattino o fino al primo pomeriggio.

da www.diocesitortona.it
@Riproduzione Riservata del 09 settembre 2022

Sabato 17 settembre, a Torricella Verzate, si svolgerà la “Festa dell’estate A.C.”. Il ritrovo per i partecipanti sarà nel pomeriggio presso il santuario della Passione.

Sono invitati tutti i bambini e i ragazzi che hanno partecipato ai Campi estivi a Brusson insieme alle loro famiglie.
Il programma prevede alle ore 16 l’accoglienza presso la sede della Pro Loco, alle ore 16.30 giochi e attività per bambini, ragazzi e adulti, alle ore 18.30 la Santa Messa presso il Santuario della Passione e alle ore 19.30 la cena tutti insieme con la collaborazione della Pro Loco.
Alle ore 20.30 andrà in scena il musical “Vi ho chiamato amici” scritto e realizzato dal Settore Giovani diocesano.
Per informazioni si può visitare il sito (www.azionecattolicatortona.it).

CAV Voghera

L'Associazione Vogherese di volontariato, che aiuta gratuitamente la donna in difficoltà ad accogliere la vita, superando le difficoltà.

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