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CAV - Centro di Accoglienza alla Vita Vogherese ODV

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"Spero che san Francesco sia contento ..."

 ALESSANDRIA, 2 GIU - Sono state consegnate oggi pomeriggio ad Alessandria le medaglie d'Onore concesse dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella agli ex deportati e internati nei lager nazisti Paolo Carbone e Silvio Lavaselli quelle di bronzo al merito civile ad Alessandro Segato e Gianluca Deambrogi. Tra i neo commendatori il vescovo di Tortona Vittorio Francesco Viola. "Un evento straordinario - ha commentato il prefetto Romilda Tafuri - E' la prima volta in provincia, e tra le poche in Italia, che questa onorificenza è conferita a una figura così carismatica che ci avvicina al Cantico delle Creature". "Se mi lasciate quel foglio - ha scherzato il monsignore che appartiene all'Ordine dei Cappuccini, riferendosi alla motivazione - cercherò di fare tutto quello che è stato letto e non ho ancora realizzato. Mi sento inadeguato a ricevere questo titolo. Per san Francesco quello più importante era 'frate': spero sia contento di avere un fratello commendatore".
da www.ansa.it
@Riproduzione Riservata del 02 giugno 2018

di Lorenza Pleuteri
Arrivano i primi seggiolini dotati di sistemi di sicurezza, mentre una proposta di legge per l’introduzione di dispositivi salvabebè è stata ripresentata alla Camera e al Senato.-
L'ultimo episodio ha riguardato una bimba di 7 mesi, “dimenticata” in auto dal padre, in provincia di Pisa. Potrebbe capitare ancora. Ogni volta, colpiti al cuore, ci si interroga sulla sicurezza. E ogni volta si spera che si trovino soluzioni efficaci. Che cosa si sta facendo per evitare che si ripeta? Come scongiurare altri drammi e altri lutti?
Nella scorsa legislatura otto deputati avevano presentato una proposta di legge a tema, breve, semplicissima. Suggerivano di inserire nel Codice della strada un’aggiunta ad hoc: rendere obbligatoria l’installazione di un dispositivo d’allarme per segnalare la presenza di un bimbo nell’ovetto ancorato ai sedili posteriori di una macchina. Si accennava anche all’esistenza di un congegno ideato da un gruppo di studenti aretini e brevettato in Italia, cioè “un dispositivo che scatta quando si spegne il motore e si chiude la portiera dell'automobile”. Poi il ddl si è arenato nelle secche parlamentari e non se n'è fatto più nulla, nonostante le promesse e gli impegni, ribaditi anche dopo la penultima tragedia.
Presentato un disegno di legge ad hoc
Un disegno di legge simile – firmato da appartenenti a una formazione politica di segno opposto - è stato riproposto alla Camera e al Senato. Si intitola “introduzione dell'obbligo di un dispositivo acustico e luminoso collegato ai sistemi di ritenuta per bambini”. Ma la macchina legislativa, in una situazione politica senza precedenti, è ferma, paralizzata. “I parlamentari possono presentare le proposte – confermano da Montecitorio – ma tutto finisce lì. L’iter non prosegue. Non ci sono attività e non ce ne saranno fino a quando non si insedierà il nuovo Governo”.

Arriva il primo seggiolino collegato a una app

In assenza di disposizioni di legge, e di prodotti standard regolati da un’apposita normativa, a muoversi è stato un colosso dei prodotti per neonati e bimbi, la Chicco. Dopo mesi di sperimentazione e messa a punto, in collaborazione con Samsung, il colosso del settore sta per lanciare sul mercato i primi due seggiolini per auto dotati di sensori BebèCare integrati e collegati ad una specifica app. “Da fine maggio – dicono dall’ufficio clienti – si potranno acquistare nei nostri negozi tradizionali e online”. Per poterli utilizzare, oltre a sostenere la spesa d’acquisto iniziale, bisognerà avere uno smartphone. “Nella prima fase l’app sarà solo per i Samsung, da novembre diventerà disponibile per tutti i dispositivi Android e iOs”. E alla clientela, nello stesso mese, verrà proposto un terzo modello di seggiolino a prova di amnesie e distrazioni.
“Funzionamento semplice e intuitivo”
“Il funzionamento dei nuovi dispositivi - viene spiegato - è stato pensato per essere facile e intuitivo, basta connettere il seggiolino auto Chicco all’app BebèCare, scaricabile gratuitamente e disponibile su store e device Samsung. Il sistema si attiva dopo alcuni secondi dal momento in cui il bambino viene posizionato sul seggiolino, segnalando la presenza a bordo auto attraverso l’applicazione dedicata”. La procedura per l’attivazione è semplice. Scaricata gratuitamente l’app sul proprio smartphone Samsung, occorre creare un “account famiglia” e inserire i dati richiesti, tra cui anche i numeri di emergenza (da 1 ad un massimo di 5) ai quali verrà inviato un sms in caso di emergenza. Successivamente si deve associare il seggiolino BebèCare al proprio “account famiglia”, tramite il Qr code stampato sull’etichetta di omologazione.

Allarme rosso di due livelli

Due sono i gradi delle segnalazioni. Allarme di primo livello: quando lo smartphone su cui è stata scaricata l’app BebèCare si allontana dall’auto su cui c’è il seggiolino con il bambino a bordo, l’app stessa invia al cellulare un allarme acustico e visivo che è possibile silenziare entro 40 secondi.
Allarme di secondo livello: si attiva nel momento in cui l’allarme di primo livello non viene silenziato. Allo scadere dei 40 secondi l’app BebèCare manda un sms a tutti i numeri di emergenza registrati nell’account famiglia, con le indicazioni utili a geolocalizzare l’area nella quale si trovano ovetto e bimbo.
da www.bambinopoli.it
@Riproduzione Riservata del 28 maggio 2018

VOGHERA PAVIA OLTREPO – Pubblichiamo l’appello per la scomparsa di un ragazzino da Spinetta Marengo. I parenti chiedono la massima condivisione.

“Lunedì 28.05 di pomeriggio è scomparso questo ragazzo, Francesco Privitera. Abita a Spinetta Marengo ma spesso esce per andare ad Alessandria”, scrive la mamma.

Il ragazzino al momento della scomparsa indossava jeans, maglietta a mezze maniche rossa e Nike, e aveva uno zainetto sulle spalle.

Francesco “ha 15 anni, è alto 1.75, denti bellissimi e capelli cortissimi. Per favore condividete”, scrive ancora la mamma, che poi precisa. “Francesco sarebbe stato avvistato a Voghera ieri mattina. Per questo lo cerchiamo anche lì da voi”.

Chi vedesse il ragazzo può contattare le forze dell’ordine al 112 o il 346 062 9751.

 
da www.vogheranews.it
@Riproduzione Riservata del 30 maggio 2018

Redazione Internet
Il sacramento della Confermazione è al centro della catechesi del Papa all'udienza generale. Francesco prosegue, dunque, la sua riflessione sui Sacramenti.-
"Sia la carenza sia l'eccesso di sale rendono disgustoso il cibo, così come la mancanza e l'eccesso di luce impediscono di vedere. Chi può davvero renderci sale che dà sapore e preserva dalla corruzione, e luce che rischiara il mondo, è soltanto lo Spirito di Cristo! E questo è il dono che riceviamo nel Sacramento della Confermazione". Lo ha detto papa Francesco durante l'udienza generale del mercoledì, iniziando il nuovo ciclo di catechesi sul significato della Cresima.
"Senza la forza dello Spirito Santo non possiamo fare nulla: è lo Spirito che ci dà la forza per andare avanti!". Lo ha detto, a braccio, il Papa, nella catechesi dell’udienza odierna, in cui ha spiegato che "rinascere alla vita divina nel battesimo è il primo passo; occorre poi comportarsi da figli di Dio, ossia conformarsi al Cristo che opera nella santa Chiesa, lasciandosi coinvolgere nella sua missione nel mondo".
Ed è a questo che provvede l’unzione dello Spirito Santo: "Senza la sua forza, nulla è nell'uomo". "Come tutta la vita di Gesù fu animata dallo Spirito, così pure la vita della Chiesa e di ogni suo membro sta sotto la guida del medesimo Spirito", ha affermato Francesco: "Concepito dalla Vergine per opera dello Spirito Santo, Gesù intraprende la sua missione dopo che, uscito dall’acqua del Giordano, viene consacrato dallo Spirito che discende e rimane su di Lui".
"È bello come Gesù si presenta, qual’è la carta di identità di Gesù nella sinagoga di Nazaret", ha detto il Papa ancora a braccio, prima di citare le parole di Gesù: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio". "Gesù si presenta nella sinagoga del suo villaggio come l’Unto, come quello che è stato unto dallo Spirito", ha proseguito Francesco sempre fuori testo: "Gesù è pieno di Spirito Santo ed è la fonte dello Spirito promesso dal Padre. In realtà, la sera di Pasqua il Risorto alita sui discepoli dicendo loro: ‘Ricevete lo Spirito Santo’; e nel giorno di Pentecoste la forza dello Spirito discende sugli apostoli in forma straordinaria".
Prego per Ucraina perché guarisca dalle ferite di guerra
L'Ucraina "guarisca dalle ferite inflitte dalla guerra": quella "cara terra" trovi la pace. È quanto ha detto Papa Francesco nel suo saluto in piazza San Pietro, in occasione dell'udienza generale, ai pellegrini ucraini che hanno partecipato al 60 Pellegrinaggio Militare Internazionale a Lourdes. "Incessantemente prego il Signore", ha detto Bergoglio.
I fedeli cattolici che vivono in Cina "possano vivere la fede con generosità e serenità", e "sappiano compiere gesti concreti di fraternità, concordia e riconciliazione, in piena comunione con il Successore di Pietro". Lo ha detto Papa Francesco, nel ricordare al termine dell'udienza generale e dei saluti ai pellegrini in piazza San Pietro, che domani, 24 maggio, ricorre l'annuale festa della Beata Vergine Maria "Aiuto dei cristiani", particolarmente venerata nel santuario di Sheshan, presso Shanghai. "Tale ricorrenza ci invita ad essere uniti spiritualmente a tutti i fedeli cattolici che vivono in Cina" e per loro "preghiamo la Madonna" perché appunto possano vivere la fede in maniera serena ed anche compiere gesti di riconciliazione. "Carissimi discepoli del Signore in Cina, la Chiesa universale prega con voi e per voi - ha detto il Pontefice - affinché anche tra le difficoltà possiate continuare ad affidarvi alla volontà di Dio. La Madonna non vi farà mai mancare il suo aiuto e vi custodirà col suo amore di madre".
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 23 maggio 2018

di Monica Piccini

Sono solo poche centinaia su oltre 20mila colleghe donne, ma lavorano con passione. E conquistano la fiducia delle partorienti grazie a empatia e capacità di ascolto. Perché la differenza, quando si parla di nascite, non è tra maschi e femmine: sta nel saper assecondare i tempi naturali.-

Part(or)ire è un po’ come partire. E nel fronteggiare le incognite del percorso i compagni di viaggio sono importanti. Anche quando ti capitano per caso e alla fine riescono persino a sorprenderti. Come gli ostetrici (da non confondere con i ginecologi) che le donne incontrano a sorpresa (in base ai turni) sul lettino della sala parto mentre si contorcono dal dolore. «Siamo qualche centinaia di uomini su circa 20mila ostetriche in tutt’Italia», sintetizza Piero Cifelli, 33 anni, consigliere dell’Ordine delle Ostetriche provincia di Roma («Al femminile, com’è giusto che sia. Un mondo in cui stiamo entrando in punta di piedi») e della neonata Società scientifica italiana di Scienze ostetrico-ginecologico-neonatali (Sisong).

«Alcuni lavorano sul territorio nei consultori, altri insegnano nei corsi pre e post parto, altri ancora assistono le donne nell’evento più potente che esista, la nascita», racconta lui che, nato in Molise in una famiglia con 11 zie e molti cugini, ha sempre voluto fare questo mestiere. Capacità d’ascolto, gestione delle emozioni, rispetto dei tempi sono il bagaglio personale e professionale di queste figure che, pur non sperimentando mai doglie e travagli, hanno deciso di stare accanto alle donne in un momento così intimo.

«Quando lo scorso anno sono stato assunto all’ospedale di Peschiera del Garda (Verona) ero l’unico tra 19 colleghe», racconta Riccardo Federle, 25 anni. «Le partorienti mi guardavano con un misto di curiosità e dubbio sulla capacità di empatia di un maschio». Sulla sua competenza e passione garantiscono l’impegno nel coinvolgere i coetanei («La matematica ci serve, ma l’educazione sessuale ci riguarda di più e per più tempo») in un consultorio vicentino dove ha lavorato appena laureato, e l’attività di presidente animatore del gruppo parrocchiale di Azione cattolica («Mi aiuta a rimanere in contatto con le persone più diverse»). «Anche con le donne in sala travaglio è questione di relazione, le più solide si conquistano nel tempo». Rassicurante, Riccardo ha preceduto di qualche mese nello stesso ospedale il collega Marco Pingiotti, 50 anni, che si è trasferito da Roma con tutta la famiglia al nord, moglie infermiera e figlio 11enne. «Le differenze nel nostro lavoro non sono tra uomini o donne ma tra nord e sud. A Roma dove ho lavorato per 18 anni ero una presenza più familiare, forse perché mi scambiavano per il ginecologo. Nell’ospedale di Riva ho trovato grande rispetto per la fisiologia del parto in assenza di patologie (il contrario dell’eccessiva medicalizzazione). Ma è anche una questione di numeri: se si fanno 4500 parti di media all’anno come al Fatebenefratelli di Roma c’è meno tempo rispetto agli 800-900 parti di qui».

«Per fare questo lavoro devi essere bravo a gestire le emozioni oltre alle informazioni», aggiunge Elio Saverino, 41 anni, di Catania, con un figlio di cinque che da 15 (e 2000 parti) lavora all’ospedale di Treviso «dove trattiamo sia le gravidanze fisiologiche che quelle patologiche, tra cui quelle delle mamme con più di 42 anni». E aggiunge: «L’ostetrico dev’essere una presenza vigile ma quasi trasparente per non intralciare un processo naturale come quello del parto». Allora come mai dopo anni di silenzio si è cominciato a parlare di violenza ostetrica, parti cesarei inopportuni e dolorosi punti di sutura? «Mentre la medicina fa progressi in avanti, l’ostetricia deve tornare indietro nel tempo, recuperando valori come la lentezza (se si partorisce troppo velocemente i tessuti possono lacerarsi) ma anche – e non vorrei esser frainteso – l’utilità del dolore che, fino a un certo punto, serve alla donna a capire cosa fare», racconta Matteo Parro, 37 anni, moglie ostetrica e figlie di 3 e 6 anni («quando sono nate mi tremavano le mani, figurarsi avere la responsabilità del parto!»).

da www.corriere.it
@Riproduzione Riservata

Il Papa ai giovani: siate coraggiosi, mi fido di voi
Nel messaggio della Gmg del prossimo 25 marzo l'invito a non guardare il mondo solo attraverso il computer e lo smartphone. No all'ossessione del "mi piace". «Nella Chiesa importanti responsabilità».-
Pubblichiamo il testo del messaggio che papa Francesco invia ai giovani e alle giovani del mondo in occasione della 33.ma Giornata mondiale della gioventù che sarà celebrata a livello diocesano il 25 marzo 2018 nella Domenica delle Palme sul tema «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30).

Cari giovani,
la Giornata Mondiale della Gioventù del 2018 rappresenta un passo avanti nel cammino di preparazione di quella internazionale, che avrà luogo a Panamá nel gennaio 2019. Questa nuova tappa del nostro pellegrinaggio cade nell’anno in cui è convocata l’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. E’ una buona coincidenza. L’attenzione, la preghiera e la riflessione della Chiesa saranno rivolte a voi giovani, nel desiderio di
cogliere e, soprattutto, di “accogliere” il dono prezioso che voi siete per Dio, per la Chiesa e per il mondo.
Come già sapete, abbiamo scelto di farci accompagnare in questo itinerario dall’esempio e dall’intercessione di Maria, la giovane di Nazareth che Dio ha scelto quale Madre del suo Figlio. Lei cammina con noi verso il Sinodo e verso la GMG di Panama. Se l’anno scorso ci hanno guidato le parole del suo cantico di lode – «Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente» (Lc 1,49) – insegnandoci a fare memoria del passato, quest’anno cerchiamo di ascoltare insieme a lei la voce di Dio che infonde coraggio e dona la grazia necessaria per rispondere alla sua chiamata: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30). Sono le parole rivolte dal messaggero di Dio, l’arcangelo Gabriele, a Maria, semplice ragazza di un piccolo villaggio della Galilea.
1. Non temere!
Come è comprensibile, l’improvvisa apparizione dell’angelo e il suo misterioso saluto: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28), hanno provocato un forte turbamento in Maria, sorpresa da questa prima rivelazione della sua identità e della sua vocazione, a lei ancora sconosciute. Maria, come altri personaggi delle Sacre Scritture, trema davanti al mistero della chiamata di Dio, che in un momento la pone davanti all’immensità del proprio disegno e le fa sentire tutta la sua piccolezza di umile creatura. L’angelo, leggendo nel profondo del suo cuore, le dice: «Non temere»! Dio legge anche nel nostro intimo. Egli conosce bene le sfide che dobbiamo affrontare nella vita, soprattutto quando siamo di fronte alle scelte fondamentali da cui dipende ciò che saremo e ciò che faremo in questo mondo. È il “brivido” che proviamo di fronte alle decisioni sul nostro futuro, sul nostro stato di vita, sulla nostra vocazione. In questi momenti rimaniamo turbati e siamo colti da tanti timori.
E voi giovani, quali paure avete? Che cosa vi preoccupa più nel profondo? Una paura “di sottofondo” che esiste in molti di voi è quella di non essere amati, benvoluti, di non essere accettati per quello che siete. Oggi, sono tanti i giovani che hanno la sensazione di dover essere diversi da ciò che sono in realtà, nel tentativo di adeguarsi a standard spesso artificiosi e irraggiungibili. Fanno continui “fotoritocchi” delle proprie immagini, nascondendosi dietro a maschere e false identità, fin quasi a diventare loro stessi un “fake”. C’è in molti l’ossessione di ricevere il maggior numero possibile di “mi piace”. E da questo senso di inadeguatezza sorgono tante paure e incertezze. Altri temono di non riuscire a trovare una sicurezza affettiva e rimanere soli. In molti, davanti alla precarietà del lavoro, subentra la paura di non riuscire a trovare una soddisfacente affermazione professionale, di non veder realizzati i propri sogni. Sono timori oggi molto presenti in molti giovani, sia credenti che non credenti. E anche coloro che hanno accolto il dono della fede e cercano con serietà la propria vocazione, non sono certo esenti da timori. Alcuni pensano: forse Dio mi chiede o mi chiederà troppo; forse, percorrendo la strada indicatami da Lui, non sarò veramente felice, o non sarò all’altezza di ciò che mi chiede. Altri si domandano: se seguo la via che Dio mi indica, chi mi garantisce che riuscirò a percorrerla fino in fondo? Mi scoraggerò? Perderò entusiasmo? Sarò capace di perseverare tutta la vita?
Nei momenti in cui dubbi e paure affollano il nostro cuore, si rende necessario il discernimento. Esso ci consente di mettere ordine nella confusione dei nostri pensieri e sentimenti, per agire in modo giusto e prudente. In questo processo, il primo passo per superare le paure è quello di identificarle con chiarezza, per non ritrovarsi a perdere tempo ed energie in preda a fantasmi senza volto e senza consistenza. Per questo, vi invito tutti a guardarvi dentro e a “dare un nome” alle vostre paure. Chiedetevi: oggi, nella situazione concreta che sto vivendo, che cosa mi angoscia, che cosa temo di più? Che cosa mi blocca e mi impedisce di andare avanti? Perché non ho il coraggio di fare le scelte importanti che dovrei fare? Non abbiate timore di guardare con onestà alle vostre paure, riconoscerle per quello che sono e fare i conti con esse. La Bibbia non nega il sentimento umano della paura né i tanti motivi che possono provocarla. Abramo ha avuto paura (cfr Gen 12,10s), Giacobbe ha avuto paura (cfr Gen 31,31; 32,8), e così anche Mosè (cfr Es 2,14; 17,4), Pietro (cfr Mt 26,69ss) e gli Apostoli (cfr Mc 4,38-40; Mt 26,56). Gesù stesso, seppure a un livello incomparabile, ha provato paura e angoscia (cfr Mt 26,37; Lc 22,44).
«Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?» (Mc 4,40). Questo richiamo di Gesù ai discepoli ci fa comprendere come spesso l’ostacolo alla fede non sia l’incredulità, ma la paura. Il lavoro di discernimento, in questo senso, dopo aver identificato le nostre paure, deve aiutarci a superarle aprendoci alla vita e affrontando con serenità le sfide che essa ci presenta. Per noi cristiani, in particolare, la paura non deve mai avere l’ultima parola, ma essere l’occasione per compiere un atto di fede in Dio... e anche nella vita! Ciò significa credere alla bontà fondamentale dell’esistenza che Dio ci ha donato, confidare che Lui conduce ad un fine buono anche attraverso circostanze e vicissitudini spesso per noi misteriose. Se invece alimentiamo le paure, tenderemo a chiuderci in noi stessi, a barricarci per difenderci da tutto e da tutti, rimanendo come paralizzati. Bisogna reagire! Mai chiudersi! Nelle Sacre Scritture troviamo 365 volte l’espressione “non temere”, con tutte le sue varianti. Come dire che ogni giorno dell’anno il Signore ci vuole liberi dalla paura.
Il discernimento diventa indispensabile quando si tratta della ricerca della propria vocazione. Questa, infatti, il più delle volte non è immediatamente chiara o del tutto evidente, ma la si comprende a poco a poco. Il discernimento da fare, in questo caso, non va inteso come uno sforzo individuale di introspezione, dove lo scopo è quello di conoscere meglio i nostri meccanismi interiori per rafforzarci e raggiungere un certo equilibrio. In questo caso la persona può diventare più forte, ma rimane comunque chiusa nell’orizzonte limitato delle sue possibilità e delle sue vedute. La vocazione invece è una chiamata dall’alto e il discernimento in questo caso consiste soprattutto nell’aprirsi all’Altro che chiama. E’ necessario allora il silenzio della preghiera per ascoltare la voce di Dio che risuona nella coscienza. Egli bussa alla porta dei nostri cuori, come ha fatto con Maria, desideroso di stringere amicizia con noi attraverso la preghiera, di parlarci tramite le Sacre Scritture, di offrirci la sua misericordia nel sacramento della Riconciliazione, di farsi uno con noi nella Comunione eucaristica.
Ma è importante anche il confronto e il dialogo con gli altri, nostri fratelli e sorelle nella fede, che hanno più esperienza e ci aiutano a vedere meglio e a scegliere tra le varie opzioni. Il giovane Samuele, quando sente la voce del Signore, non la riconosce subito e per tre volte corre da Eli, l’anziano sacerdote, che alla fine gli suggerisce la risposta giusta da dare alla chiamata del Signore: «Se ti chiamerà, dirai: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”» (1 Sam 3,9). Nei vostri dubbi, sappiate che potete contare sulla Chiesa. So che ci sono bravi sacerdoti, consacrati e consacrate, fedeli laici, molti dei quali giovani a loro volta, che come fratelli e sorelle maggiori nella fede possono accompagnarvi; animati dallo Spirito Santo sapranno aiutarvi a decifrare i vostri dubbi e a leggere il disegno della vostra vocazione personale. L’“altro” non è solo la guida spirituale, ma è anche chi ci aiuta ad aprirci a tutte le infinite ricchezze dell’esistenza che Dio ci ha dato. È necessario aprire spazi nelle nostre città e comunità per crescere, per sognare, per guardare orizzonti nuovi! Mai perdere il gusto di godere dell’incontro, dell’amicizia, il gusto di sognare insieme, di camminare con gli altri. I cristiani autentici non hanno paura di aprirsi agli altri, di condividere i loro spazi vitali trasformandoli in spazi di fraternità. Non lasciate, cari giovani, che i bagliori della gioventù si spengano nel buio di una stanza chiusa in cui l’unica finestra per guardare il mondo è quella del computer e dello smartphone. Spalancate le porte della vostra vita! I vostri spazi e tempi siano abitati da persone concrete, relazioni profonde, con le quali poter condividere esperienze autentiche e reali nel vostro quotidiano.

2. Maria!

«Io ti ho chiamato per nome» (Is 43,1). Il primo motivo per non temere è proprio il fatto che Dio ci chiama per nome. L’angelo, messaggero di Dio, ha chiamato Maria per nome. Dare nomi è proprio di Dio. Nell’opera della creazione, Egli chiama all’esistenza ogni creatura col suo nome. Dietro il nome c’è un’identità, ciò che è unico in ogni cosa, in ogni persona, quell’intima essenza che solo Dio conosce fino in fondo. Questa prerogativa divina è stata poi condivisa con l’uomo, al quale Dio concesse di dare un nome agli animali, agli uccelli e anche ai propri figli (Gen 2,19-21; 4,1). Molte culture condividono questa profonda visione biblica riconoscendo nel nome la rivelazione del mistero più profondo di una vita, il significato di un’esistenza.
Quando chiama per nome una persona, Dio le rivela al tempo stesso la sua vocazione, il suo progetto di santità e di bene, attraverso il quale quella persona diventerà un dono per gli altri e che la renderà unica. E anche quando il Signore vuole allargare gli orizzonti di una vita, sceglie di dare alla persona chiamata un nuovo nome, come fa con Simone, chiamandolo “Pietro”. Da qui è venuto l’uso di assumere un nuovo nome quando si entra in un ordine religioso, ad indicare una nuova identità e una nuova missione. In quanto personale e unica, la chiamata divina richiede da noi il coraggio di svincolarci dalla pressione omologante dei luoghi comuni, perché la nostra vita sia davvero un dono originale e irrepetibile per Dio, per la Chiesa e per gli altri.
Cari giovani, l’essere chiamati per nome è dunque un segno della nostra grande dignità agli occhi di Dio, della sua predilezione per noi. E Dio chiama ciascuno di voi per nome. Voi siete il “tu” di Dio, preziosi ai suoi occhi, degni di stima e amati (cfr Is 43,4). Accogliete con gioia questo dialogo che Dio vi propone, questo appello che Egli rivolge a voi chiamandovi per nome.

3. Hai trovato grazia presso Dio

Il motivo principale per cui Maria non deve temere è perché ha trovato grazia presso Dio. La parola “grazia” ci parla di amore gratuito, non dovuto. Quanto ci incoraggia sapere che non dobbiamo meritare la vicinanza e l’aiuto di Dio presentando in anticipo un “curriculum d’eccellenza”, pieno di meriti e di successi! L’angelo dice a Maria che ha già trovato grazia presso Dio, non che la otterrà in futuro. E la stessa formulazione delle parole dell’angelo ci fa capire che la grazia divina è continuativa, non qualcosa di passeggero o momentaneo, e per questo non verrà mai meno. Anche in futuro ci sarà sempre la grazia di Dio a sostenerci, soprattutto nei momenti di prova e di buio.
La presenza continua della grazia divina ci incoraggia ad abbracciare con fiducia la nostra vocazione, che esige un impegno di fedeltà da rinnovare tutti i giorni. La strada della vocazione non è infatti priva di croci: non solo i dubbi iniziali, ma anche le frequenti tentazioni che si incontrano lungo il cammino. Il sentimento di inadeguatezza accompagna il discepolo di Cristo fino alla fine, ma egli sa di essere assistito dalla grazia di Dio.
Le parole dell’angelo discendono sulle paure umane dissolvendole con la forza della buona notizia di cui sono portatrici: la nostra vita non è pura casualità e mera lotta per la sopravvivenza, ma ciascuno di noi è una storia amata da Dio. L’aver “trovato grazia ai suoi occhi” significa che il Creatore scorge una bellezza unica nel nostro essere e ha un disegno magnifico per la nostra esistenza. Questa consapevolezza non risolve certamente tutti i problemi o non toglie le incertezze della vita, ma ha la forza di trasformarla nel profondo. L’ignoto che il domani ci riserva non è una minaccia oscura a cui bisogna sopravvivere, ma un tempo favorevole che ci è dato per vivere l’unicità della nostra vocazione personale e condividerla con i nostri fratelli e sorelle nella Chiesa e nel mondo.
4. Coraggio nel presente
Dalla certezza che la grazia di Dio è con noi proviene la forza di avere coraggio nel presente: coraggio per portare avanti quello che Dio ci chiede qui e ora, in ogni ambito della nostra vita; coraggio per abbracciare la vocazione che Dio ci mostra; coraggio per vivere la nostra fede senza nasconderla o diminuirla.
Sì, quando ci apriamo alla grazia di Dio, l’impossibile diventa realtà. «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?» (Rm 8,31). La grazia di Dio tocca l’oggi della vostra vita, vi “afferra” così come siete, con tutti i vostri timori e limiti, ma rivela anche i meravigliosi piani di Dio! Voi giovani avete bisogno di sentire che qualcuno ha davvero fiducia in voi: sappiate che il Papa si fida di voi, che la Chiesa si fida di voi! E voi, fidatevi della Chiesa!
Alla giovane Maria fu affidato un compito importante proprio perché era giovane. Voi giovani avete forza, attraversate una fase della vita in cui non mancano certo le energie. Impiegate questa forza e queste energie per migliorare il mondo, incominciando dalle realtà a voi più vicine. Desidero che nella Chiesa vi siano affidate responsabilità importanti, che si abbia il coraggio di lasciarvi spazio; e voi, preparatevi ad assumere queste responsabilità.
Vi invito a contemplare ancora l’amore di Maria: un amore premuroso, dinamico, concreto. Un amore pieno di audacia e tutto proiettato verso il dono di sé. Una Chiesa pervasa da queste qualità mariane sarà sempre Chiesa in uscita, che va oltre i propri limiti e confini per far traboccare la grazia ricevuta. Se ci lasceremo contagiare dall’esempio di Maria, vivremo in concreto quella carità che ci spinge ad amare Dio al di sopra di tutto e di noi stessi, ad amare le persone con le quali condividiamo la vita quotidiana. E ameremo anche chi ci potrebbe sembrare di per sé poco amabile. È un amore che si fa servizio e dedizione, soprattutto verso i più deboli e i più poveri, che trasforma i nostri volti e ci riempie di gioia.
Vorrei concludere con le belle parole di San Bernardo in una sua famosa omelia sul mistero dell’Annunciazione, parole che esprimono l’attesa di tutta l’umanità per la risposta di Maria: «Hai udito, Vergine, che concepirai e partorirai un figlio; hai udito che questo avverrà non per opera di un uomo, ma per opera dello Spirito Santo. L’angelo aspetta la risposta; […] Aspettiamo, o Signora, una parola di compassione anche noi. […] Per la tua breve risposta dobbiamo essere rinnovati e richiamati in vita. […] Tutto il mondo è in attesa, prostrato alle tue ginocchia. […] O Vergine, da’ presto la risposta» (Om. 4, 8; Opera omnia, ed. Cisterc. 4, 1966, 53-54).
Carissimi giovani, il Signore, la Chiesa, il mondo, aspettano anche la vostra risposta alla chiamata unica che ognuno ha in questa vita! Mentre si avvicina la GMG di Panamá, vi invito a prepararvi a questo nostro appuntamento con la gioia e l’entusiasmo di chi vuol essere partecipe di una grande avventura. La GMG è per i coraggiosi! Non per giovani che cercano solo la comodità e che si tirano indietro davanti alle difficoltà. Accettate la sfida?
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 22 febbraio 2018

le Buone Storie - di Giusi Galimberti

Dal 2010 alla Auser, un'associazioni di volontari per la terza età, 23 medici specialisti visitano gratuitamente pensionati, rifugiati e poveri. Un bellissimo esempio da imitare.-

Nei locali dell'associazione Auser, a Borgomanero, in provincia di Novara, è in funzione da diversi anni un ambulatorio di volontari professionisti, composto da 23 specialisti. Sono tutti ex primari in pensione, cardiologi, dermatologi, radiologi, urologi, nefrologi, che soltanto nel 2017 hanno visitato oltre 1.500 persone senza chiedere nulla in cambio.
L'ambulatorio, in grado di effettuare visite specialistiche e anche di eseguire esami come ecografie, elettrocardiogrammi, holter, è stato messo in funzione da questa associazione di volontariato per la terza età, per prendersi cura di chi ha problemi di salute e non ha i mezzi per ricorrere agli specialisti: pensionati, rifugiati, disoccupati, persone che vivono in condizioni disagiate.
L'idea, che ha avuto un grandissimo successo e di cui hanno parlato tutti i quotidiani proprio in queste ore, è venuta nel 2010 alla presidente Maria Bonomi, una signora di 80 anni con un passato da sindacalista. Come ha dichiarato ad alcuni giornali, lei stessa veniva da una famiglia molto povera.
I primi a prestare gratuitamente la loro opera sono stati Piero Sacchi, primario cardiologo, Sergio Cavallaro, urologo, e Felice Fortina, nefrologo. Sacchi andava in ambulatorio per visitare i pazienti gratuitamente anche dopo essere stato costretto su una sedia a rotelle da una malattia. Al Poliambulatorio specialistico, l’attesa per una visita è solo di pochi giorni. I fondi per le apparecchiature arrivano tutti da benefattori privati.
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 18 febbraio 2018

nella foto: don Massimiliano Canta
di Lorenzo Montanaro

Fondato da don Massimiliano Canta, un sacerdote infermiere, conta sul lavoro volontario di circa sessanta specialisti (medici, infermieri, ma anche farmacisti, tecnici, addetti alla reception), L'esperienza è raccontata sul numero 7 di Famiglia Cristiana in edicola dal 15 febbraio, all'interno di un'inchiesta sugli ultimi, oggi, in Italia: dal Nord al Sud viaggio per le strade degli invisibili. E di chi li aiuta.-

Medici, infermieri e attrezzature di altissimo livello a disposizione di chi non può curarsi, perché troppo povero o troppo fragile. L'ambulatorio Misericordes di Torino è nato con un obiettivo semplice quanto prezioso: offrire cure mediche alle persone più disagiate (uomini e donne senza dimora, stranieri in difficoltà, ma anche famiglie italiane prostrate dalla crisi). E' uno di quei miracoli possibili solo grazie alla dedizione di chi, ogni giorno, dona il suo tempo e la sua professionalità ricevendo in cambio solo un grazie (e certe volte, a essere onesti, neppure quello). L'ideatore è don Massimiliano Canta, prete da 4 anni dopo aver lavorato a lungo come infermiere caposala e responsabile di strutture sanitarie. E' stata proprio questa sua “doppia missione” a mettere in moto il progetto.
Nel 2016, coinvolgendo una decina di amici, il sacerdote ha fondato l'associazione Misericordes Onlus. E dopo mesi di intenso lavoro, grazie al contributo di tanti, l'ambulatorio medico è divenuto una realtà. A dicembre è entrato a pieno regime e ha già offerto assistenza a molti malati. Fin dall'inizio, la Diocesi ha appoggiato il progetto con convinzione.
Quartiere Lingotto, a due passi dagli ex stabilimenti Fiat trasformati in uffici e centri fieristici. Case popolari nate per gli operai, oggi abitate da anziani, famiglie monoreddito e molti stranieri. In via Baiardi c'è una porta di vetro: a prima vista potrebbe celare un negozio o un ufficio come tanti. Invece è una porta che si apre all'accoglienza. L'ambulatorio è equipaggiato con attrezzature all'avanguardia, perché (questo il “chiodo fisso” di don Canta e dei suoi collaboratori) «ai poveri bisogna offrire il meglio». Nello studio dentistico, ad esempio, è presente uno strumento digitale di ultima generazione per l'acquisizione e il trattamento delle immagini. Sterilizzazione e pulizia sono garantite da protocolli rigidissimi e dall'uso di centraline computerizzate. Ma il risultato non è un ambiente freddo e impersonale. Al contrario, le pareti sono decorate con vedute cittadine e l'atmosfera è familiare (soprattutto negli spazi frequentati dai più piccoli). Tante le specialità disponibili, dalla pediatria all'ortopedia, dalla ginecologia all'oncologia.
L'intero ambulatorio si regge sul lavoro di una sessantina di professionisti (medici, infermieri, ma anche farmacisti, tecnici, addetti alla reception), tutti volontari. Sono loro l'anima del progetto. Il lavoro è molto e, avendo a che fare con persone particolarmente fragili, serve un'attenzione particolare. «Non bisogna trascurare nulla. Anche una banale influenza, se contratta da una persona che vive in strada e che è costantemente esposta al freddo, può avere esiti gravi, così come una ferita superficiale, se non medicata a dovere. E' un lavoro di strada, di frontiera» spiega Maria Costanza Calia, oncologa. I pazienti presi in carico arrivano su segnalazione di servizi sociali, parrocchie, centri Caritas, cappellanie di strutture sanitarie e altre istituzioni. La casistica è molto ampia. «Ci sono persone appena dimesse dagli ospedali, che hanno bisogno di aiuto per la convalescenza. C'è chi non può permettersi di pagare un ticket, chi ha bisogno di cure urgenti e si scontra con le lunghe liste d'attesa della sanità pubblica» racconta Vittoriano Petracchini, specialista in medicina interna. A bussare alla porta dell'ambulatorio sono in prevalenza stranieri, «però non mancano i casi di persone italiane rimaste bruscamente senza lavoro». Le cure sono gratuite: «chi può, paga il prezzo simbolico di un euro» spiega don Canta. Odontoiatria e medicina generale i servizi più richiesti.
La salute è al centro, ma non è tutto. La sfida è dedicare attenzione alla persona, nel suo insieme. «L'aspetto sanitario non è che una parte del problema» sottolinea il sacerdote. «Alle spalle ci sono storie complesse, di povertà materiale e non solo. Quando arrivano da noi, spesso i pazienti non conoscono i loro diritti oppure si sono persi nel groviglio della burocrazia. Qui cerchiamo di aiutarli anche in questi aspetti. E mobilitando la nostra rete di amici, compresi alcuni volontari delle parrocchie, puntiamo a contrastare la solitudine e l'abbandono».
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 16 febbraio 2018
 
 

Caro direttore,
desidero segnalare a te ed ai tuoi lettori un episodio probabilmente già noto a tanti, ma che mi ha colpito in modo particolare e mi ha fatto pensare.
Dopo la recita dell’Angelus di domenica 4 febbraio (giornata dedicata alla Vita), Papa Francesco ha espresso “incoraggiamento alle diverse realtà ecclesiali che in tanti modi promuovono e sostengono la vita, in particolare il Movimento per la Vita, di cui saluto gli esponenti qui presenti, non tanto numerosi. E questo mi preoccupa; non sono tanti quelli che lottano per la vita in un mondo dove ogni giorno si costruiscono più armi, ogni giorno va avanti questa cultura dello scarto….preghiamo perché il nostro popolo sia più cosciente della difesa della vita in questo momento di distruzione e di scarto dell’umanità”.
Vorrei ripercorrere i passaggi che mi hanno colpito.
Innanzi tutto, Francesco incoraggia tutti a sostenere “in tanti modi” la vita, chiamando il mondo cattolico a raccolta, perché non si affievolisca l’impegno circa un aspetto fondamentale, anzi essenziale per l’esistenza del mondo stesso. Per certi versi, l’ho sentito come un appello contro il pericolo che prevalga l’accidia in un campo decisivo per l’intera umanità.
Poi, il Papa fa un’insolita annotazione, che mi pare non abbia precedenti.Salutando il benemerito Movimento per la Vita sottolinea come gli esponenti di tale realtà presenti in piazza siano “non tanto numerosi”, aggiungendo che ciò lo preoccupa. Considerando la cosa dal punto di vista positivo, evidentemente Francesco vorrebbe che ci fossero  più cattolici impegnati e lo ha detto dopo che aveva sottolineato come Gesù annunciasse il Vangelo soprattutto per le strade, compromettendosi con il popolo. Evidentemente Papa Francesco vuole tanta gente in piazza (anche in Piazza San Pietro) per difendere e affermare di fronte a tutti le cose giuste.
Continuando nelle sue considerazioni, il Papa usa poi un verbo ancora più impegnativo, lamentandosi del fatto che “non sono tanti quelli che lottano per la vita “, mentre le circostanze attuali necessiterebbero di un surplus di impegno, visto che si costruiscono sempre più armi che uccidono e che si approvano “leggi contro la vita” (anche con il concorso di cattolici, a volte).
Francesco termina il suo intervento invitando a pregare “perché il nostro popolo sia più cosciente”. Penso che, con questo, il Papa chieda un impegno particolare dal punto di vista culturale, perché non basta la generosità se essa non è basata su di un giudizio che permetta di andare oltre le difficoltà che ogni lotta sempre presenta.
Caro direttore, mi pare che il Papa, nella brevità di un intervento domenicale, abbia tirato le orecchie ai cattolici italiani, invitandoli ad un maggiore impegno pubblico circa le dimensioni fondamentali della vita. Evidentemente, egli non ha paura del pericolo dell’egemonia (paventato da certi salotti bolognesi, ma del tutto improbabile vista la posizione minoritaria della Chiesa), quando invita i fedeli ad essere più numerosi nelle lotte a difesa della vita e quando li invita ad essere presenti anche nelle strade e nelle piazze. Di fronte alla verità, il numero non conta, ma di fronte alle lotte sociali e politiche anche il numero conta, come conta che il numero si faccia vedere anche nelle piazze. Ricordiamoci di tutto ciò anche il 4 marzo: il nostro voto non può andare a chi non ha difeso (anzi, ha attaccato) la vita (e la famiglia).
da www.lanuovabq.it
@Riproduzione Riservata del 15 febbraio 2018
 

di Barbara Millucci

All’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma si sperimenta il videogioco della start up «Tommi». La tecnologia aiuta i piccoli del reparto di oncologia a trasformare la cura in gioco.-

Ogni anno vengono diagnosticati circa 300 mila casi di cancro infantile (leucemie, linfomi e tumori del sistema nervoso centrale). Otto piccoli pazienti su dieci riescono a salvarsi grazie a cure ad hoc. Di certo una buona notizia che non deve però far mai abbassare le difese, visti i tanti rischi di recidive.
Valentino Megale, phd in neurofarmacologia, ha ideato «un videogioco in grado di ridurre ansia e dolore nei bambini malati di cancro, grazie alla realtà virtuale» racconta. La sua start up si chiama «Tommi» e ha vinto il premio Healthcare Challenge di Pfizer durante Frontiers Health a Berlino, una due giorni dove le migliori start up d’Europa del settore farmaceutico e biotech si sono date appuntamento per tentare di porre rimedio alle gravi malattie che affliggono il mondo. «Abbiamo iniziato i primi test presso l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma nel reparto di neuroncologia con cui abbiamo avviato un progetto di ricerca per la validazione scientifica del sistema, lavorando a stretto contatto con medici, psicologi e fisioterapeuti», aggiunge lo specialista.

Ogni anno vengono diagnosticati circa 300 mila casi di cancro infantile (leucemie, linfomi e tumori del sistema nervoso centrale). Otto piccoli pazienti su dieci riescono a salvarsi grazie a cure ad hoc. Di certo una buona notizia che non deve però far mai abbassare le difese, visti i tanti rischi di recidive.
Valentino Megale, phd in neurofarmacologia, ha ideato «un videogioco in grado di ridurre ansia e dolore nei bambini malati di cancro, grazie alla realtà virtuale» racconta. La sua start up si chiama «Tommi» e ha vinto il premio Healthcare Challenge di Pfizer durante Frontiers Health a Berlino, una due giorni dove le migliori start up d’Europa del settore farmaceutico e biotech si sono date appuntamento per tentare di porre rimedio alle gravi malattie che affliggono il mondo. «Abbiamo iniziato i primi test presso l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma nel reparto di neuroncologia con cui abbiamo avviato un progetto di ricerca per la validazione scientifica del sistema, lavorando a stretto contatto con medici, psicologi e fisioterapeuti», aggiunge lo specialista.

La tecnologia immersiva è stata messa a punto con la collaborazione di uno sviluppatore software e due ingegneri elettronici e aiuta i piccoli del reparto di oncologia a trasformare la terapia in gioco, coinvolgendo nel videogame i genitori e fornendo ai medici preziosi dati sulle loro capacità motorie e stato di benessere, che permettono monitoraggi accurati. «Il gioco punta a supportare i giovani pazienti sia durante l’ospedalizzazione sia durante il follow up, grazie a video che scorrono dinanzi ai loro occhi raffiguranti spiagge, mare, animali, il cielo. Immagini rilassanti che fanno entrare il piccolo in un altro mondo immaginario, dove si sente meno dolore fisico e dove cambia la percezione del tempo, che scorre più veloce».

Un effetto analgesico che, secondo i ricercatori, scaturisce dall’interazione neurobiologica delle aree del cervello che regolano l’esperienza visiva, auditiva e tattile. La realtà virtuale, realtà aumentata e mixed reality, secondo quanto si è scoperto, è infatti in grado di alleviare mali e sofferenze e supportare i pazienti durante le cure. Ha effetti positivi sulla mente dei giocatori, essendo decisamente più coinvolgente di altre soluzioni o terapie tradizionali. Proprio il coinvolgimento e la profondità dell’esperienza sono fondamentali per distogliere le creature dalle emozioni negative che vivono in ospedale e per rilassarli in un ambiente, quello digitale, di certo più sicuro e controllato. «Come pediatri, sappiamo che quando un bambino oncologico gioca scaturiscono in lui benefici che vanno a coinvolgere tutto il corpo e la mente» dichiara Alberto Tozzi, responsabile di Innovazione e Percorsi Clinici del Bambino Gesù. «Ad esempio sviluppano un maggior controllo del dolore. L’app è stata utilissima nell’alleviare la sofferenza nei bimbi cronici, che devono spesso seguire terapie dolorose, punture e stare isolati per un po’. Siamo sempre in cerca di partnership tecnologiche per sviluppare connessioni e progetti insieme. Spesso le idee partono anche da nostre esigenze e ben venga chi può aiutarci a svilupparle», aggiunge il medico.
La start up nell’ultimo mese si è aggiudicata il primo premio di 15 mila euro come miglior start up 2017 alla pitch competition del Premio NIDI a Imola e ora parte per un nuovo progetto ad Houston, in Usa. «È stato decisivo il periodo di 3 mesi di accelerazione al Merck Innovation Center di Darmstadt, in Germania, dove abbiamo messo a punto l’applicazione, mentre il premio della Healthcare Challenge di Pfizer a Berlino ci ha aperto la possibilità di una collaborazione a lungo termine con l’azienda farmaceutica», conclude Megale. «Per la prima volta – conclude Tozzi – abbiamo uno strumento a disposizione per combattere la malattia che non è una medicina».
da www.corriere.it/buonenotizie
@Riproduzione Riservata del 14 febbraio 2018

CAV Voghera

L'Associazione Vogherese di volontariato, che aiuta gratuitamente la donna in difficoltà ad accogliere la vita, superando le difficoltà.

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